Come individuare e trattare con efficacia ansia, depressione e insonnia?
“Neuroagorà” si pone come un laboratorio di apprendimento ispirato all’andragogia: a partire dalla propria esperienza il Mmg si confronta con i colleghi specialisti.
Ne consegue una decodifica cognitiva dei preconcetti, con il vantaggio di imparare ad affrontare con agilità la complessità delle problematiche proposte
Neuroagorà, la sede di incontro delle conoscenze in neuropsichiatria, a proposito di ansia, depressione e insonnia, disturbi di comune riscontro nella pratica clinica: esiste un modo per gestirli con appropriatezza? In che termini si possono affrontare con efficacia questi disturbi? Quale metodologia di apprendimento per ridurre i margini di inappropriatezza? Come decodificare nella mente del medico i tanti preconcetti diagnostici e terapeutici? Un medico, sommerso dai tanti problemi, in primis quelli riferiti alla burocrazia, può trovare il tempo per individuare e trattare con efficacia questi disturbi?
Così si parte dall’esperienza, ed in questo Neuroagorà si pone come un laboratorio di apprendimento che si ispira all’andragogia, scienza che studia i processi di apprendimento dell’adulto.
In questi termini il medico stesso parla della sua esperienza, la condivide con i propri colleghi in piccoli gruppi ove si affrontano le principali questioni: quale diagnosi? Quale trattamento? Quali effetti collaterali? Riporta la sua esperienza e poi la confronta con lo specialista. Ne consegue una decodifica cognitiva di preconcetti con il vantaggio di imparare ad affrontare con agilità la complessità delle problematiche proposte.
La depressione, come diagnosticarla, quando un sintomo o più sintomi diventano “significativi” sul piano clinico?
Imparare a riconoscere la differenza, il confine, tra la tristezza e la depressione.
Tutti possono avere un momento di sconforto, di tristezza persistente, dopo un lutto, in seguito a vicende familiari o lavorative, o in seguito a difficoltà economiche.
C’è una forza vitale in ciascun individuo che tende a rivitalizzare i momenti di tristezza, una rabbia che aiuta a “chiedere aiuto”, a recarsi dal proprio medico per ricevere un sostegno, un’attenzione, un dialogo. Spesso questo elemento vitale - tristezza e rabbia - si affievolisce, dando origine a vissuti di abbandono, a sensi di colpa, ad un pessimismo che comporta la perdita di fiducia nei confronti del futuro, un sentimento di “disperanza” che acceca l’animo rendendolo inerte, disinteressato, privo di quell’entusiasmo per la vita, privo di quella capacità di assaporare i piccoli piaceri del quotidiano: umore depresso e disinteresse per l’ambiente circostante sono i sintomi nucleari della depressione. È un sentimento penoso che il medico percepisce intuitivamente: il paziente, che ben conosce, non è più la stessa persona, non ha più piacere per le attività che normalmente svolgeva, ha perso interesse per la vita.
Dalla tristezza alla depressione: si individuano i sintomi e si valuta quanto la sintomatologia compromette la funzionalità dell’individuo.
Un criterio base che consente al medico di orientarsi verso la diagnosi di depressione e di intraprendere un trattamento medico, prima ancora che questi sintomi si strutturano in un disturbo di maggiore pervasività e gravità.
Ma quante depressioni esistono? Quante depressioni il medico deve codificare?
La depressione è unica, definita come episodio depressivo maggiore.
Non esistono depressioni minori. In questo senso è pertanto importante considerare che qualsiasi depressione ha una gravità intrinseca e richiede un trattamento precoce. Questo perché la depressione è un disturbo invalidante, che tende a ripresentarsi (episodio depressivo ricorrente) e a cronicizzarsi (disturbo depressivo persistente).
L’evidenza scientifica ci dice che il trattamento precoce e protratto per il tempo necessario - 8-12 mesi - appare risolutivo nella maggior parte dei casi. Il medico di famiglia a cui si rivolge il paziente depresso può quindi riconoscere e gestire questi quadri clinici, avendo cura di richiedere la consulenza psichiatrica in presenza di sintomi particolarmente gravi, come la presenza di manifestazioni psicotiche (deliri e allucinazioni) o di un elevato rischio suicidario.
Tutti i sintomi depressivi hanno un’origine psichica?
No. Qualsiasi diagnosi in psichiatria rimane una diagnosi di esclusione.
Molte patologie organiche - ad esempio la demenza o il Parkinson - o anche l’uso di alcuni farmaci - per esempio l’interferone - possono estrinsecarsi con sintomi depressivi. È quindi importante prestare molta attenzione alla diagnostica differenziale.
Sintomi come l’ipostenia, la mancanza di energia o di forza, li ritroviamo in medicina; sono trasversali, aspecifici, meritano di essere indagati: anche un meningioma può presentarsi con sintomi depressivi.
E l’ansia, l’insonnia?
Certamente, anche in questi casi occorre riflettere prima di iniziare un trattamento. Si presentano come sintomi autonomi, o riflettono ed esprimono un nucleo depressivo?
L’ansia, come preoccupazione pervasiva per il futuro, si esprime con una varietà di sintomi sia psichici che fisici che tendono a paralizzare l’individuo. Emerge una paura per il futuro, per le attività quotidiane, per le malattie? Ma è solo paura per il futuro o è perdita di speranza?
L’ansia può essere uno specificatore importante nel contesto di una depressione. Ovvero vi sono dei quadri depressivi che si manifestano con una spiccata dimensione ansiosa, l’ansia tende a coprire il nucleo depressivo, ad essere un sintomo prevalente.
È deprimente la prospettiva futura: paura o pessimismo?
L’ansioso ha paura di vivere, il depresso non vede alcun orizzonte, pensa di non potercela fare, di non avere alcuna motivazione, la vita non ha senso: nel percepire il vissuto ansioso o depressivo il medico deve cogliere la prospettiva futura, l’attaccamento alla vita, il senso di inutilità, piuttosto che la preoccupazione pervasiva - tipica dell’ansia - che possa succedere qualcosa. Ma il confine non è netto, a volte sono necessari più colloqui clinici, ma in ogni caso è importante iniziare al più presto il trattamento.
Nell’ansia e nella depressione gli antidepressivi hanno mostrato una buona efficacia, in monoterapia, ed utilizzando la dose consigliata.
Anche l’insonnia può essere un sintomo depressivo: difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni frequenti, inquietudine, risveglio precoce mattutino: quando il paziente riferisce di sentirsi meglio la sera, ma che al mattino si sveglia prima del solito, ma ha difficoltà ad alzarsi perché teme di dover affrontare una nuova giornata si propende per un quadro depressivo. L’insonnia ha tuttavia molte sfaccettature, può essere secondaria a patologie organiche, ad esempio respiratorie o cardiovascolari, o derivante dall’uso di alcuni farmaci.
Prima di iniziare un trattamento occorre essere attenti, soprattutto negli anziani, alla diagnosi differenziale, evitando in ogni caso la prescrizione indiscriminata di ansiolitici e ipnoinducenti, potenzialmente dannosa e che comunque ha precise limitazioni.
Uno sguardo particolare deve essere rivolto allo stile di vita. Molti disturbi psichici si estrinsecano anche sul piano comportamentale: fumo di sigaretta, alimentazione incontrollata, abuso di alcolici o di analgesici; in questo senso qualche minuto in più dedicato al paziente può essere fondamentale per agire sul suo stile di vita, con notevoli vantaggi sul piano clinico. Se ciò non basta, chiedere la consulenza specialistica.
Riflettendo sulla pratica quotidiana: chi è il paziente difficile?
Certamente il paziente che somatizza e che presenta uno stato d’ansia di malattia (ipocondria); in questi casi il linguaggio prevalente è quello corporeo, palpitazioni, mal di testa, capogiri, disturbi gastroenterici e così via.
Questi pazienti sono difficili da rassicurare e si presentano con insolita frequenza nell’ambulatorio medico chiedendo esami su esami, nel tentativo di mitigare lo stato d’ansia legato alla paura di avere una qualche malattia. In questi casi è importante non etichettarli come “nevrotici” e parlare di ansia o depressione, non capirebbero, non si sentirebbero compresi, e continueranno ad insistere perché si faccia tutto il possibile per individuare “la patologia nascosta”. È bene in questi casi mantenere un atteggiamento cauto, di accoglienza, mirato a contenere il sintomo e a comprendere il senso del linguaggio corporeo: cosa spaventa il paziente? Presenta un quadro depressivo o ansioso
mascherato? Anche quando si è convinti della natura psicologica dei sintomi è buona prassi richiedere accertamenti utili a escludere problematiche organiche; successivamente intraprendere un trattamento con antidepressivi, avendo cura di spiegare al paziente il razionale di utilizzo di questi farmaci. È importante altresì sottolineare i meccanismi biologici del farmaco, nel tentativo di favorire la compliance al trattamento poiché questi pazienti mostrano riserve in merito all’utilizzo di “psicofarmaci”.
Antidepressivi e/o ansiolitici?
La terapia portante dell’ansia e della depressione si basa sull’utilizzo degli antidepressivi. Ma il termine antidepressivo è storico, in realtà si tratta di farmaci oggi indicati sia nei disturbi dello spettro ansioso che depressivo (uso transnosografico).
Non esiste l’antidepressivo ideale; nel rispetto delle indicazioni delle diverse molecole l’efficacia di questi farmaci è ampiamente provata. Il problema è che spesso vengono sottoutilizzati, prescritti a dosi non terapeutiche e per periodi di tempo non congrui.
Gli antidepressivi hanno un discreto profilo di efficacia e di tollerabilità; la buona conoscenza delle molecole che si prescrivono consentono al medico di pianificare trattamenti appropriati; gli SSRI - inibitori selettivi del reuptake della serotonina - come la paroxetina e il citalopram, sono gli antidepressivi di maggiore utilizzo nella pratica clinica. Il trattamento deve privilegiare la monoterapia, prescrivendo dosi terapeutiche per il tempo necessario alla remissione e stabilizzazione del quadro clinico (mediamente 9 mesi).
Tuttavia, quando l’ansia è preponderante, alla terapia antidepressiva si può associare un ansiolitico, ma limitatamente alle fasi sintomatologiche di acuzia. Il trattamento ansiolitico - benzodiazepine - non deve protrarsi mediamente per più di 2-3 settimane; deve essere sempre circoscritto al tempo necessario per il controllo dell’ansia. Le benzodiazepine hanno precise indicazioni e limitazioni d’uso ed in ogni caso non è buona prassi associare più benzodiazepine.
Considerazioni
Neuroagorà apre un confronto aperto e diretto tra medici di famiglia e specialisti, al fine di migliorare la qualità dei processi assistenziali; problematiche riguardanti la diagnostica differenziale e le politerapie (tabella 1) possono trovare una migliore risoluzione solo attraverso la condivisione di esperienze di clinici afferenti a diverse aree di specializzazione
Tabella 1
Politerapia e deprescribing
• In Italia più di 1.300.000 individui ricevono una prescrizione contemporanea di 10 o più farmaci; vi è ampia diffusione della politerapia, non supportata da evidenze scientifiche: l’inappropriatezza prescrittiva include un inadeguato impiego del farmaco per durata o per dosaggio (in difetto e in eccesso), può essere la conseguenza dell’uso contemporaneo di più farmaci che interagiscono tra loro: interazione farmaco-farmaco e/o con patologie di cui il paziente è affetto (interazione farmaco-patologia).
• Il deprescribing: per contrastare gli effetti avversi della politerapia inappropriata proponendo di identificare i pazienti a rischio di ADR e cercando di ridurre i farmaci per i quali esiste una ragionevole certezza di tossicità e inappropriatezza (JAMA Inter Med 2015; 175: 827-34)+
M.D. Medicinae Doctor - numero 6 settembre 2016
Ferdinando Pellegrino - Psichiatra, Centro Studi Psicosoma (Salerno)