CO-ESSERCI IN AMORE

Abbandonare la pretesa del possesso, saper convivere con il rischio della perdita significa accettare la fragilità e la precarietà dell’amore. Significa rinunciare all’illusione di una garanzia di indissolubilità del legame amoroso, prendendo atto che i rapporti umani, con i limiti e le imperfezioni che li contraddistinguono, non possono prescindere dall’opacità, dalle zone d’ombra, dall’incertezza.

il coesserci in amoreCosì Nuccio Ordine, nel suo L’utilità dell’inutile (edizioni Bompiani) aiuta a riflettere sulla caducità dell’esperienza amorosa, ristretta nel tempo, pur  se intensa e pervasiva.
Ciò che unisce due persone osserva Ordine è “un legame disinteressato, è il valore dell’amore in sé, capace di sconfiggere ogni interesse individuale e ogni forma di egoismo”, ricordando che – come scrive Antonie de Saint-Exupéry – “contrariamente a quanto si pensa, l’amore non fa soffrire. Quello che fa soffrire è l’istinto della proprietà, che è il contrario dell’amore”.
Eppure l’esperienza comune della perdita d’amore è connotata da una grande varietà di forme di disagio e sofferenza,  fino a sfociare in disturbi psichiatrici di particolare rilevanza clinica.
L’amore è condivisione, interesse, curiosità, affinità d’animo, progettualità, serenità, gioia: è nel prendersi cura dell’altro che si esprime tale intensità affettiva che rappresenta un co-esserci, una co-presenza, un vivere insieme una profonda sintonizzazione emotiva, comunque una dualità che non può prescindere dalla forza di personalità del singolo.
Il co-esserci rappresenta un’esperienza intensa, forte, rivitalizzante, fonte di ben-essere: è il sentirsi sicuri, protetti, è il sapere che l’altro c’è, in qualsiasi momento, è il vivere l’altro in una quotidianità rasserenante, ove la dimensione temporale svanisce per lasciare spazio ad un’intensa affettività co-presenza affettiva vissuta.
Quando tale esperienza svanisce ricompare il tempo, l’attesa penosa, il dover attendere un segnale, una speranza, un ritorno, e le immagini consolatorie del passato nulla aggiungono alla profonda tristezza, pur intrisa di speranza, ma fonte di sofferenza.
Si vuole capire, comprendere, si va alla ricerca del perché l’altro non “m’ama”, del perché del tradimento o dell’abbandono: nessuna spiegazione può essere accolta: l’amore svanisce così come è nato.
L’esperienza del co-esserci si dissolve, come d’incanto, e rimane l’Io, bastonato e sofferente per chi non accetta l’evidenza, e l’Io, forte e ritrovato, di chi dalla rottura promuove e vive nuove esperienze affettive.
E’ questo il nodo centrale: l’amore è tale nella dualità del co-esserci, nel vivere in sintonia, e presuppone la reciprocità, senza la quale non vi è più amore: quando l’altro – l’oggetto d’amore - non c’è più, l’amore svanisce.
L’esperienza d’amore può quindi avere un limite temporale – per pochi infinito, per molti finito – di cui occorre averne consapevolezza, avendo cura di conservare la propria identità nell’esperienza del co-essere, dell’essere insieme.
L’amore maturo presuppone una forte identità personale che non si dissolve nell’altro, una identità in grado di vivere con serenità e gioia l’intensità dell’esperienza affettiva, senza gelosia e tormenti vari, una identità capace di rasserenare l’animo nel momento del distacco, nel momento dell’abbandono.
Rimangono le ombre, la solitudine, il disagio, la sofferenza abbandonica, la memoria poetica, ma accanto ad esse la voglia di ritrovarsi e ricominciare: è questa la vera forza dell’uomo maturo.