MEDICO E STRESS

Lo stress può in molti casi rendere difficoltosa la gestione del rapporto con i pazienti: soprattutto quando si è vittime del burn-out occorre un ripensamento delle proprie modalità lavorative e organizzative e può essere utile seguire uno specifico percorso di

stress lavorarivofitness cognitivo-emotivo. La comunicazione ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella professione medica, ma negli ultimi anni ha subito profondi cambiamenti.
Questi sono stati causati da un nuovo clima culturale, frutto del progresso della disciplina e dell’emergere di problematiche un tempo inesistenti, dalle trasformazioni sociali che hanno determinato da parte dei cittadini nuove modalità di approccio nella richiesta di interventi sanitari, da innovazioni legislative improntate sempre più a favorire nel paziente una piena consapevolezza del proprio stato di malattia e delle possibilità terapeutiche.
Questi cambiamenti possono essere occasione per il medico di rinnovamento e di stimolo ad acquisire maggiori e specifiche competenze, ma anche motivo di crisi: qualsiasi trasformazione è infatti fonte di stress e richiede un processo di adattamento non sempre privo di sofferenza e fatica.
L’assetto emotivo del medico condiziona in modo determinante la natura del suo rapporto con il paziente; una sua sofferenza in termini di stress lavorativo o burn-out si riflette inevitabilmente su chi ha di fronte, con atteggiamenti cognitivi, emotivi e comportamentali che condizionano negativamente l’instaurarsi e l’evolversi di qualsiasi rapporto di fiducia, come cinismo, irritabilità, rabbia, stanchezza, difficoltà a concentrarsi e ad ascoltare il paziente, pessimismo rispetto alla patologia.
Spesso il distacco emotivo e la mancanza di empatia rappresentano le conseguenze più dirette di una cattiva gestione delle proprie valenze emotive. In ambito clinico occorre fare i conti con il profondo coinvolgimento affettivo, l’irritazione, l’indecisione, la noia, il distacco emotivo, la presenza di forti sentimenti di aggressività e con altre emozioni non sempre facili da gestire.
Le difficoltà del rapporto tra medico e paziente nascono spesso da incomprensioni comunicative frapposte da movimenti emozionali non riconosciuti o sottostimati; la scarsa o nulla formazione in tale ambito o la mancanza di attenzione  nei riguardi del proprio mondo emotivo rendono l’operatore più vulnerabile allo sviluppo di condizioni di stress lavorativo, con inevitabili conseguenze sul rapporto con il paziente (tab. 1).

 

Tabella 1. Stress lavorativo ed efficacia professionale
Lo stress lavorativo comporta una serie di conseguenze sul piano fisico, psichico e comportamentale; può infatti essere considerato un importante fattore di rischio che favorisce il manifestarsi di:
- errori professionali
- infortuni lavorativi
- ridotta performance
- compromissione dell'efficacia professionale
- riduzione della qualità della vita
- patologie organiche (infarto cardiaco)
- disturbi psichici (ansia e depressione)
- stili di vita disfunzionali (fumo di sigaretta, vita sedentaria, irritabilità, etc)

 

E’ addirittura possibile che l’inadeguatezza rispetto alla gestione delle proprie emozioni diventi un fattore in grado di disturbare l’atteggiamento del medico nei confronti della malattia e può giungere a condizionare anche il contenuto delle informazioni date al paziente ai fini di una scelta terapeutica.
Prima ancora che con le parole, il medico parla tramite se stesso, con il suo modo di essere e di agire, con la sua capacità di ispirare fiducia e di trasmettere ottimismo e speranza; la comunicazione preverbale è naturale, immediata e istintiva, nasce dal profondo dell’animo, rappresenta la premessa che regola in modo sostanziale le relazioni umane e rispecchia i vissuti emotivi dell’operatore. Prima ancora di avere abbracciato o stretto la mano a una persona si trasmette l’autenticità dell’interesse emotivo che si ha per lei,  la propensione a essere affettuosi, la disponibilità all’ascolto e al prendersi cura della persona con cui ci si relaziona.
Tali osservazioni trovano oggi conferma negli studi a livello neurologico dei sistemi di risonanza ( i neuroni specchio) che risultano implicati in molte funzioni sociali, compresi apprendimento, evoluzione del linguaggio gestuale e verbale, e sintonizzazione empatica.
In altre parole non abbiamo bisogno di lunghe conversazioni e osservazioni per comprendere i vissuti emotivi del paziente in quanto le nostre percezioni degli atti e delle reazioni emotive altrui appaiono accomunate da un meccanismo a specchio che consente al nostro cervello di riconoscerle immediatamente e comprendere l’altro; nella nostra mente si attivano cioè simultaneamente le stesse strutture –motorie ed emozionali – che sono attive nella persona con cui ci si relaziona.
La comprensione immediata e diretta delle emozioni altrui che il meccanismo dei neuroni specchio rende possibile, rappresenta il prerequisito necessario al processo di sintonizzazione empatica che sostiene larga parte delle nostre relazioni interindividuali, e in modo specifico la relazione con il paziente.
Per tali motivi qualsiasi condizione di stress lavorativo –logorio professionale o sindrome del burn-out – può interferire in modo significativo con tali meccanismi fino a compromettere l’efficacia della relazione medico-paziente.

 

La sindrome del burn-out
Il burn-out puoò essere concepito come una sorta di transazione; un patto che facciamo con noi stessi quando non riusciamo a reggere i ritmi della vita quotidiana, quando non siamo in grado di sostenere le richieste che provengono dall’ambiente esterno (sovraccarico lavorativo, svolgimento di compiti non appropriati, ecc) o dal nostro intimo (ambizioni eccessive, obiettivi non realistici, ecc).
Se non riusciamo a dare risposte esaustive a quanto ci viene chiesto, di solito ci difendiamo, facciamo una transazione con noi stessi, ci sforziamo in ogni caso di reggere rispetto alla realtà quotidiana e alle responsabilità che abbiamo, con grosse difficoltà e cercando di non compromettere eccessivamente la performance.
Si può quindi iniziare a definire il burn-out come il risultato di un’inadeguata gestione dello stress individuale eccessivo, una condizione di disadattamento, nata da un processo transazionale, che rappresenta una soluzione di accomodamento o di compromesso, con la propria coscienza di fronte a situazioni di lavoro non altrimenti gestibili (tab. 2).

 

Tabella 2. Le cause più frequenti di stress lavorativo
- Burocrazia
- Esercitare la propria attività in branche della medicina non affini ai propri interessi e/o alle proprie competenze
- Sovraccarico lavorativo
- Lavorare in strutture amministrative mal gestite
- Difficoltà relazionali con i colleghi
- Mancanza o inadeguata presenza di autonomia decisionale
- Presenza di problematiche familiari o relazionali
- Scarsa retribuzione
- Assenza di stimoli che motivano la propria crescita professionale

 

Si tratta cioè di un processo nel quale un professionista precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentati sul lavoro che è caratterizzato da esaurimento emotivo, depersonalizzazione, e ridotta realizzazione personale. Si tratta di una sindrome in cui si assiste a una progressiva perdita di idealismo, di energia, di obiettivi, di aspettative, di motivazione, a essere bravi nel fare del bene, uno stato di affaticamento o frustrazione nato dalla devozione a una causa, un modo di vita o una relazione che hanno mancato di produrre la ricompensa attesa.
Nel caso specifico del medico, il burn-out può essere discusso in termini di delusione, fatica, disillusione, disperazione e impotenza causate dal contrasto tra il sincero desiderio di aiutare gli altri e i limiti e le richieste strutturali dei servizi sociali, ed è considerato come l’ultimo passo di una progressione di tentativi senza successo per far fronte a una serie di condizioni negative o stressanti (tab. 3).

 

Tabella 3. Segni e sintomi del burn-out
- Astenia e senso di stanchezza
- Demotivazione e frustrazione
- Sensazione di fallimento, rabbia e risentimento
- Senso di colpa e disistima
- Vissuti di solitudine e difficoltà relazionali
- Perdita di sentimenti positivi verso gli utenti, cinismo
- Riduzione dell'efficacia lavorativa
- Incapacità a comprendere i vissuti emotivi altrui (mancanza di empatia)
. Sensazione di immobilismo, difficoltà a prendere iniziative
- Seguire in modo crescente procedure rigidamente standardizzate
- Insonnia, mal di testa e disturbi gastrointestinali
- Irritabilità, conflittualità lavorativa e familiare
 - Assenteismo o presenteismo

 

Il significato quindi della reazione da stress lavorativo può in definitiva essere rappresentata come lo spegnersi della motivazione lavorativa: l’operatore che inizialmente nutriva entusiasmo e rispetto per la propria professione, a un certo punto non riesce più a reggere i ritmi e tende a spegnersi progressivamente, come una candela. Ma il burn-out può anche rappresentare un momento di riflessione, un’occasione per rigenerarsi e apprendere nuove modalità operative – strategie di coping – per favorire i processi di adattamento rispetto al mondo che cambia e per affrontare meglio le difficoltà quotidiane.

La formazione del medico nella nuova sanità
Al professionista di oggi la società chiede qualcosa in più rispetto al passato; in particolare, l’introduzione in ogni settore lavorativo di metodologie di gestione aziendale sta rivoluzionando l’intero assetto organizzativo e spinge l’individuo ad assumere un atteggiamento innovativo nei confronti del proprio operato, in ragione della necessità di raggiungere una migliore efficienza in rapporto alle risorse disponibili. Oggi viene richiesta flessibilità, competenza e maggiore professionalità, quali esiti di una formazione alla professione più globale che comprende aspetti tecnici, psicologici e manageriali.
Queste problematiche investono il medico a livello sia personale sia professionale. Dal punto di vista personale egli rientra a pieno titolo tra le categorie a più alto rischio di distress lavorativo: deve infatti fare i conti con il quotidiano, con le difficoltà che derivano dalla necessità di mediare tra il Sistema sanitario nazionale, sempre più convulso e confuso nell’espressività normativa, e l’utenza che appare sicuramente più difficile da gestire rispetto al passato. Norme legislative, carico di lavoro, tipologia di utenza, responsabilità professionali, rendono quindi il lavoro sempre più difficile e fonte di tensione. Quali devono essere allora le capacità umane e professionali degli operatori per far fronte a queste nuove regole del gioco? Come dovrebbe essere un operatore o cosa dovrebbe fare per affrontare le sfide del mondo del lavoro? Quali competenze deve acquisire? Come può conservare nel tempo un livello adeguato di motivazione?
Nel passato una laurea era il passaporto per il futuro professionale, oggi rappresenta il punto di partenza, non il solo, di un percorso formativo continuo, che si sviluppa secondo modelli consolidati e attraverso lo sviluppo di modalità di autoapprendiemto che prevedono tappe ben definite e pianificate.
Senza nulla togliere alle responsabilità delle strutture organizzative del mondo del lavoro – argomento che richiede una trattazione a parte - , l’approccio della moderna psicologia individua tra le principali cause di demotivazione lavorativa un’ inefficace investimento del singolo individuo rispetto alla propria formazione, rispetto alla capacità di coltivare in proprio le specifiche competenze che possono aiutarlo a definirsi in modo autonomo, come libero professionista o all’interno delle organizzazioni.
Evidentemente occorre acquisire una nuova  consapevolezza e intraprendere nuovi percorsi formativi in linea con i modelli della psicologia del positivo, modelli che hanno portato all’individuazione delle “caratteristiche delle persone vincenti”, alla scoperta della resilienza, alla definizione del senso di autoefficacia percepita, alla comprensione dell’importanza dell’intelligenza emotiva, dell’ottimismo, della creatività, dell’autostima, alla valorizzazione dell’esperienza del “libero flusso”, o flow.
Tradotti in termini pratici, questi concetti, che sostengono le potenzialità espressive della personalità matura, sono alla base del Knowledge worker o “lavoratore della conoscenza”, persona che gestisce informazioni, idee e abilità.
Il cambiamento di prospettiva è determinante e radicale in quanto si parte dal presupposto che la mente umana, nei suoi aspetti cognitivi ed emotivi, possieda le energie sufficienti per creare condizioni favorevoli alla crescita di personalità mature ed efficaci, con confini ben strutturati e un IO consapevole e forte.
L’autoefficacia personale esprime la grande potenzialità della mente umana di rappresentare se stessa in modo coerente, in un dinamismo continuo e positivo, in grado di rendere l’individuo resiliente e capace di progettare con forza il proprio futuro. La forza dell’individuo è nella mente umana e qualsiasi processo formativo non si limita a progetti di contenzione del disagio psichico, come la sindrome del burn-out, ma all’implementazione dell’efficacia personale, fattore motivante e determinante per la propria personalità.

 

Il fitness cognitivo-emotivo
Nell’ambito di attività formative che hanno coinvolto dal 2004 a oggi oltre 3000 operatori sanitari (medici di Medicina generale e di altre aree specialistiche, oltre a infermieri) è stata effettuata una ricerca attraverso la somministrazione del Tae (Test delle abilità emotive, Tab. 4) e del Tdp (Test di soddisfazione professionale).

 

Tabella 4. Test di valutazione abilità emotive (Tae)
- Il tae è uno strumento composto da 15 item che sintetizza le principali caratteristiche connesse agli aspetti emotivi dell'intelligenza, valutando:
- l'autoconsapevolezza emotiva
- la tendenza alla somatizzazione
- l'autostima e la capacità di confrontarsi con gli altri
- la risonanza emotiva che deriva dal rapporto con gli altri
- la capacità di sapersi valorizzare e di sapersi rapprotare agli altri (confronto e collaborazione)
- l'abilità all'ascolto empatico
- la padronanza e la fiducia che l'operatore pone in sè stesso, la sua adattabilità al contesto di appartenenza, la sua capacità di risolvere i problemi in modo appropiato e il suo ottimismo

 

Le modalità di apprendimento sono state realizzate in piccoli gruppi di lavoro per favorire un contratto diretto con il docente-supervisore (psichiatra o psicologo) e una migliore espressività delle proprie esigenze.

 

In tale contesto è stato applicato il fitness cognitivo-emotivo (tab. 5), una metodica di apprendimento che si ispira ai concetti della moderna psicologia e il cui obiettivo fondamentale è quello di rendere l’individuo più consapevole delle risorse di cui dispone al fine di migliorare la sua capacità di gestire e sviluppare le potenzialità della mente, nei suoi aspetti cognitivi ed emotivi.

 

Tabella 5. Dinamiche psicologiche del fitness cognitivo-emotivo
1. Essere soddisfatti del presente. Il livello di soddisfazione del presente è un indice  importante di salute psicologica; la routine e lo stress soffocano il livello di soddisfazione professionale e inibiscono la progettualità. Occorre recuperare la fiducia in sè stessi e implementare la creatività e l'innovazione.
2. Rafforzare la propria autostima. Le persone che hanno una buona autostima sono autoefficaci, affrontano i compiti difficili come sfide da vincere piuttosto che come pericoli da evitare, si pongono obiettivi ambiziosi e li perseguono, di fronte alle difficoltà intensificano il proprio impegno e lo mantengono costante. Un atteggiamento efficace procura successi personali, riduce lo stress e limita la vulnerabilità al disagio psichico.
3. Imparare ad essere response able. La response ability è la capacità di rispondere in maniera ottimale a ciò che accade. I soggetti response able danno il meglio di sè nelle medesime condizioni che paralizzano le loro controparti meno dotate di questa qualità.

 

Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che la maggior parte degli operatori intervistati è soddisfatta della propria attività professionale e possiede delle ottime abilità emotive, un dato positivo che riflette lo sforzo degli operatori nel sostenere l’impegno professionale quotidiano. Vi è una diretta correlazione tra il grado di soddisfazione professionale e lo sviluppo individuale di abilità emotive che appaiono come un fattore protettivo rispetto alle condizioni di stress lavorativo; tuttavia la soddisfazione professionale e lo sviluppo individuale di abilità emotive, che appaiono come un fattore protettivo rispetto alle condizioni di stress lavorativo,  non annullano tout-court gli effetti dello stress in quanto l’impegno professionale quotidiano comporta, in ogni caso, un notevole dispendio di energia sia fisica sia psichica.
La ricerca evidenzia infatti l’impatto negativo dello stress lavorativo – spesso correlato anche a disfunzionalità organizzative – sulla qualità della vita dell’operatore e, di riflesso, sulla sua efficacia professionale, generando un atteggiamento di inerzia rispetto a proposte di cambiamento e innovazione.
Emergono difficoltà soggettive nell’organizzare e pianificare in modo adeguato le attività, soffocati da un senso di urgenza quotidiana che lascia poco spazio alla riflessione; i ritmi lavorativi appaiono non gestiti in modo congruo e la routine viene vissuta come un fattore devastante dal punto di vista professionale.
E’ stata rilevata una diffusa difficoltà a riconoscere e gestire le proprie emozioni, a evidenziare i punti di criticità del proprio operato, ad accettare un confronto sereno con colleghi e superiori, mostrando invece una spiccata tendenza ad atteggiamenti rigidi e difensivi.
Nonostante la presenza di ottime abilità emotive negli operatori intervistati, si contrappone in essi un livello di consapevolezza inadeguato rispetto alle proprie competenze psicologiche che non vengono utilizzate in modo appropriato.
Pervade un senso generale di impotenza rispetto a cambiamenti positivi e la presenza di un buon grado di soddisfazione lavorativa non appare in sé sufficiente a contenere l’emergere di situazioni di disagio come la sindrome del burn-out.
Per tali motivi l’obiettivo fondamentale dei lavori di gruppo è stato quello di focalizzare gli sforzi formativi sull’addestramento all’autonomia che comporta l’abilità a esprimere più liberamente le emozioni, ad affrontare lo stress con maggiore efficacia e autonomia e a contare di più sulle proprie forze. I risultati conseguiti sono incoraggianti e l’analisi delle dinamiche psicologiche emerse da questa esperienza ha confermato l’importanza di  percorsi formativi da realizzare in piccoli gruppi in cui è forte l’interazione tra i partecipanti e il conduttore del gruppo.
La programmazione – all’interno delle aziende sanitarie – di gruppi esperienziali finalizzati alla valorizzazione delle competenze psicologiche – trasversali a ogni specialità o professionalità – appare pertanto una metodica importante per l’efficacia umana e professionale degli operatori.

 

Ferdinando Pellegrino - Psichiatra, psicoterapeuta
Mensile Medici oggi - numero 2, Marzo 2010
 

Per approfondire::
Pellegrino F. (2009). La sindrome del Burn-out. Centro Scientifico Editore.
Pellegrino F. (2010). Personalità e autoefficacia. Springer, Milano
Pellegrino F. - PERCORSI, Il fitness cognitivo
Pellegrino F. - PERCORSI, Abilità emotive e stress lavorativo