L’obesità è una malattia metabolica cronica multifattoriale (1-5) che rappresenta uno dei più grandi problemi di sanità pubblica ancora irrisolti.
Il numero dei casi di obesità è triplicato nell’arco degli ultimi 40 anni e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che, nel 2016, le persone affette da obesità fossero circa 650 milioni, pari al 13% della popolazione adulta mondiale (6). L’obesità interessa non solo gli adulti, ma anche i bambini e gli adolescenti (1).
In più occasioni, è stato utilizzato il termine “pandemia” per descrivere la diffusione di questa patologia che ha un impatto devastante sullo stato di salute delle persone e che viene inclusa tra le cause principali di disabilità e mortalità (7). Per molti anni non è stato adeguatamente comunicato né percepito il “peso” di questa malattia, ma recentemente è stato compiuto un notevole sforzo di informazione e sensibilizzazione che ha reso possibili importanti risultati tra i quali il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica da parte della Camera dei Deputati del Parlamento Italiano nel 2019 (8).
La complessità di questa patologia è data, non solo dall’interazione di numerosi fattori biologici, genetici, psicologici, socio-economici e ambientali (1, 5, 9), ma anche dalla tendenza a recidivare, caratteristiche, queste, che ne rendono difficoltoso il trattamento e la gestione a lungo termine.
La terapia per l’obesità, così come indicato dalle linee guida nazionali e internazionali, prevede un approccio graduale che include (1, 5, 10):
•modifiche dello stile di vita (dieta e attività fisica);
• terapia farmacologica;
• terapia chirurgica.
La terapia farmacologica dell’obesità ha una storia lunga e l’approccio dei professionisti sanitari e delle persone affette da obesità è spesso permeato da scetticismo e sfiducia (11). Alcuni studi hanno evidenziato, infatti, come la terapia farmacologica sia una delle opzioni terapeutiche suggerite meno frequentemente dai professionisti sanitari per ottenere un decremento ponderale (11-13).
Dal 1997 al 2020 alcuni farmaci per l’obesità sono stati ritirati dal mercato a causa di effetti collaterali e problemi di sicurezza; tali episodi hanno probabilmente contribuito a ridurre la fiducia nei confronti di questo approccio terapeutico (11). Tuttavia, è importante sottolineare come le linee guida (1, 5, 10, 14) indichino la terapia farmacologica come una scelta terapeutica valida, sicura ed efficace in aggiunta alle modifiche dello stile di vita.
Attualmente, in Italia, i farmaci approvati per il trattamento dell’obesità sono (15-17):
•Liraglutide 3.0 mg;
•Naltrexone-bupropione;
•Orlistat.
Ill trattamento con i farmaci per l’obesità è indicato nei seguenti casi (1, 5, 11):
• adulti con indice di massa corporea ≥ 30 Kg/m2;
•adulti con indice di massa corporea ≥ 27 Kg/ m2 in presenza di almeno una complicanza correlata all’obesità (pre-diabete o diabete mellito di tipo 2, ipertensione arteriosa, dislipidemia o apnea ostruttiva nel sonno);
•adolescenti di età > 12 anni con obesità [diagnosticata secondo i criteri dell’International Obesity Task Force (18)].
L’Orlistat, farmaco a somministrazione orale, agisce a livello del tratto gastrointestinale attraverso l’inibizione selettiva della lipasi pancreatica, riducendo così l’assorbimento intestinale dei grassi ingeriti con l’alimentazione (19). Il Naltrexone-bupropione, farmaco a somministrazione orale, agisce, invece, a livello del sistema nervoso centrale e determina una riduzione dell’appetito esercitando un effetto sui recettori oppioidi e sul sistema di re-uptake della dopamina e della noradrenalina (20-23).
Tra i farmaci attualmente disponibili in Italia, Liraglutide presenta un interessante meccanismo d’azione, in quanto è un analogo del Glucagon Like Peptide-1 (GLP-1), un ormone prodotto a livello delle cellule intestinali in grado di regolare (16):
•il senso dell’appetito, agendo su strutture specifiche del sistema nervoso centrale;
•la motilità gastrointestinale;
•la secrezione insulinica in senso glucosio-dipendente (cioè proporzionata rispetto ai valori di glicemia).
Liraglutide si lega al recettore del GLP-1 e lo attiva. L’uso degli analoghi degli ormoni intestinali nel trattamento dell’obesità è apparso, negli anni, particolarmente interessante poiché ha permesso di ottenere decremento ponderale e di regolare i valori di glicemia. Oltre che per il trattamento dell’obesità, questo sistema è stato oggetto di estensivi studi finalizzati allo sviluppo di farmaci per il trattamento del diabete mellito di tipo 2, tra i quali gli analoghi del GLP-1 e gli inibitori della Dipeptidil-peptidasi (enzima che inattiva il GLP-1) (24, 25).
Le principali funzioni delle cellule intestinali sono la funzione di barriera di protezione tra l’ambiente interno e il contenuto del lume intestinale, e l’assorbimento dei nutrienti, ma è ormai chiaro come l’intestino svolga anche funzioni di organo endocrino “diffuso”. A livello intestinale, infatti, sono presenti numerose cellule endocrine (cellule entero-endocrine) in grado di secernere almeno 20 differenti ormoni coinvolti nella regolazione del metabolismo, nella modulazione dell’appetito, nella digestione, nell’assorbimento dei nutrienti, nella secrezione insulinica e nell’omeostasi energetica (24, 26).
Gli ormoni secreti dalle cellule intestinali sono definiti“enterormoni” ed esercitano (26, 27):
•effetti paracrini, cioè hanno effetto su cellule bersaglio situate in vicinanza delle cellule che li producono;
•effetti endocrini, cioè sono immessi in circolo e hanno effetti su cellule bersaglio localizzate anche in sedi molto distanti dalla sede di produzione;
•effetti nervosi.
Nella Tabella 1 sono indicati alcuni dei principali enterormoni e le loro principali funzioni biologiche
Inizialmente si pensava che ogni cellula entero-endocrina fosse in grado di secernere un solo tipo di enterormone. Attualmente questa visione è diventata oggetto di discussione, in quanto è stato osservato che le cellule L umane del colon siano, per esempio, in grado di secernere sia GLP-1 che il peptide YY (PYY). A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge anche il riscontro di differenti combinazioni di produzione di enterormoni in base allo specifico tratto di intestino preso in considerazione e alle specifiche strutture intestinali (cripte e villi intestinali) (26, 29, 30). È, infatti, noto come le cellule secernenti il Gastric Inhibitory Peptide (GIP) siano maggiormente presenti nella porzione prossimale del digiuno, mentre le cellule secernenti GLP-1 siano più numerose nella parte distale del sistema gastrointestinale sia nell’uomo che in modelli animali. I due ormoni, GLP-1 e GIP, sono sintetizzati in forma di pro-ormone e vengono trasformati in ormoni attivi da enzimi chiamati pro-convertasi e, infine, inattivati da un enzima noto come Dipetidil-peptidasi-IV (DPP-IV).
La secrezione degli enterormoni è regolata dai macronutrienti (zuccheri, lipidi, proteine) ingeriti con l’alimentazione e da alcuni metaboliti prodotti dai batteri intestinali (acidi grassi a catena corta, acidi biliari secondari, lipopolisaccaridi) (24, 26). A loro volta, gli enterormoni esplicano le loro azioni biologiche attivando dei meccanismi di trasmissione del segnale che includono recettori accoppiati a proteine G, trasportatori di nutrienti e canali ionici (24, 29).
Tra tutti gli enterormoni prodotti, il GLP-1 e il GIP, definiti “ormoni incretinici”, sono stati oggetto di numerosi studi nell’ambito delle patologie metaboliche in quanto sono in grado di esercitare effetto anoressizzante (riduzione dell’appetito) e di stimolare la secrezione insulinica in risposta all’ingestione orale di glucosio (24, 26, 31). Questo effetto viene descritto in letteratura come “effetto incretinico”, ed è rappresentato da una risposta secretoria insulinica 2-3 volte superiore con un carico di glucosio somministrato per os (per bocca, cioè attraverso il canale alimentare), rispetto a quella ottenuta con la somministrazione intravenosa di glucosio (32). Il passaggio del glucosio attraverso il sistema gastrointestinale sembra, quindi, maggiormente efficace nello stimolare una risposta insulinica, rispetto alla sua immissione diretta a livello del circolo ematico. L’effetto incretinico appare essere il meccanismo più rilevante nel mantenimento di una normale tolleranza al glucosio.
Il GLP-1 e il GIP, inoltre, mostrano un effetto additivo nello stimolare la secrezione insulinica e un effetto differente sulla produzione di glucagone (il GLP-1 la riduce e il GIP la stimola, sempre in modo glucosio-dipendente) (28, 32).
L’insulina e il glucagone sono due ormoni prodotti dal pancreas, rispettivamente dalle cellule beta e dalle cellule alfa, che hanno un’azione chiave nella regolazione dei livelli ematici di glucosio (27). L’insulina è un ormone ad azione ipoglicemizzante, cioè abbassa i livelli di glicemia, ed esercita i suoi effetti a livello del muscolo, del fegato e del tessuto adiposo. Da una parte, favorisce l’utilizzo del glucosio in periferia (muscoli), e dall’altra ne stimola la “conservazione” sotto forma di glicogeno a livello epatico e di trigliceridi a livello del tessuto adiposo. L’insulina, oltre ad avere un effetto sul metabolismo del glucosio, esercita anche effetti sul metabolismo dei lipidi e delle proteine (27). Il glucagone, invece, è un ormone ad azione iperglicemizzante, cioè aumenta i livelli di glicemia, e agisce stimolando il rilascio di glucosio, accumulato sotto forma di glicogeno, da parte del fegato. La produzione di insulina e glucagone è, inoltre, regolata dagli stessi livelli in circolo di insulina e glucagone. L’insulina, infatti, inibisce la secrezione di glucagone e il glucagone, invece, stimola la secrezione di insulina.
La somatostatina, altro enterormone, ha la capacità di inibire sia la secrezione di insulina che di glucagone (27). Appare, quindi, chiaro come l’integrità funzionale del sistema “intestino-pancreas endocrino” (sistema entero-insulare) sia fondamentale per assicurare un normale equilibrio glicemico.
La scoperta dell’effetto incretinico ha incoraggiato interessanti ricerche che hanno consentito, negli anni, di identificare i diversi enterormoni, di scoprirne le diverse funzioni e di poterli utilizzare quali efficaci strategie terapeutiche per il diabete mellito di tipo 2 e per l’obesità. Un riscontro importante è stato, inoltre, osservare che l’effetto incretinico è ridotto o non più presente nelle persone con diabete mellito, ma l’effetto della stimolazione del recettore con l’enterormone consente ancora di osservare gli stessi effetti biologici (riduzione dell’appetito ed effetto sulla glicemia).
Questa scoperta ha permesso lo sviluppo di terapie farmacologiche per il diabete mellito di tipo 2 che utilizzano gli analoghi del GLP-1 e gli inibitori dell’enzima che degrada il GLP-1 per migliorare il controllo glicemico (25, 26, 32, 33). Il GIP e il GLP-1, inoltre, sembrano avere ulteriori effetti sulle cellule adipose, sull’osso e un interessante profilo di protezione cardiovascolare nelle persone con diabete mellito di tipo 2 (25, 3-36), che li rendono particolarmente interessanti come prospettive terapeuti-che. Inoltre, studi recenti hanno posto in evidenza, sia per il GLP-1 che per il GIP, effetti benefici, oltre che sulle complicanze cardiovascolari, anche nelle patologie degenerative del sistema nervoso centrale, aprendo delle ulteriori potenziali possibilità terapeutiche per le complicanze croniche del diabete mellito (32). Come già anticipato in precedenza, attualmente, in Italia, è disponibile Liraglutide 3.0 mg per il trattamento dell’obesità nell’adulto e negli adolescenti di età superiore ai 12 anni (16, 37). Liraglutide 3.0 mg è stato il primo agonista recettoriale del GLP-1 ad essere stato approvato per il trattamento dell’obesità a dosi quasi doppie rispetto a quelle utilizzate per il trattamento del diabete mellito di tipo 2 (38).
Liraglutide, che presenta una omologia del 97% rispetto al GLP-1 prodotto dall’organismo, viene somministrato per via iniettiva sottocutanea giornaliera. Dopo essere entrato in circolo, si lega a specifici recettori e li attiva, innescando un sistema di trasmissione del segnale a livello cellulare (16). Questa molecola è in grado di ridurre l’appetito e aumentare la sensazione di sazietà, favorendo così una minore ingestione di cibo. Non sembra, invece, in grado di aumentare la spesa energetica (16, 39-42). Molto interessante risulta, inoltre, la sua capacità di stimolare la secrezione dell’insulina a livello pancreatico, riducendo al contempo, la secrezione di glucagone, e contribuendo così al ripristino e al mantenimento di adeguati valori di glicemia a digiuno e post-prandiali.
L’efficacia e la sicurezza di Liraglutide è stata studiata in un ampio programma di trials clinici, gli studi SCALE (Satiety and Clinical Adiposity – Liraglutide Evidence in individuals with and without diabetes), a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti (39, 40, 43, 44). In tali studi, sono state studiate diverse popolazioni di soggetti (persone con obesità e pre-diabete, persone con obesità e diabete mellito tipo 2, persone con obesità e apnee ostruttive del sonno, persone con obesità seguite per la valutazione del mantenimento del peso corporeo) e sono stati valutati i parametri antropometrici e cardio-metabolici.
In aggiunta alla dieta e all’attività fisica, Liraglutide 3.0 mg ha permesso di ottenere una riduzione del peso corporeo statisticamente significativa rispetto ai soggetti non trattati (gruppo placebo), e sono state osservate percentuali maggiori di pazienti che hanno raggiunto una perdita di peso ≥ 5% e >10% nel gruppo dei pazienti trattati rispetto a coloro che non avevano ricevuto il trattamento.
Nello studio che ha preso in esame le persone con obesità e pre-diabete (39), alla settimana 56, nel gruppo dei pazienti trattati con Liraglutide 3.0 mg, sono state osservate:
• significative variazioni medie di peso espresso in percentuale (8% contro 2.6% del gruppo placebo) e di peso espresso in Kg (8.4 Kg contro 2.8 Kg del gruppo placebo);
•• maggiore percentuale di pazienti con perdita di peso >5% (63.5% contro 26.6% del gruppo placebo);
• maggiore percentuale di pazienti con perdita di peso >10% (32.8% contro il 10.1% del gruppo placebo);
• maggiore riduzione dei valori di emoglobina glicata (-0.4 contro -0.1del gruppo placebo).
Liraglutide 3.0 mg, attualmente utilizzato in pratica clinica per il trattamento dell’obesità, è un farmaco efficace e sicuro, ma sono già state sviluppate, e sono già state approvate in altri paesi, nuove molecole che hanno reso possibile il raggiungimento di obiettivi di perdita di peso superiori al 10% con buoni profili di sicurezza e tollerabilità (45). Per quanto riguarda il profilo di sicurezza della molecola, le reazioni avverse segnalate con maggiore frequenza sono state la cefalea e le reazioni di tipo gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea e stipsi), generalmente classificate come lievi o moderate e di tipo transitorio, soprattutto durante le prime settimane di trattamento. Sono stati segnalati, inoltre, casi di ipoglicemia (abbassamento dei livelli di glicemia non gravi), insonnia (nei primi 3 mesi di trattamento), patologie epatobiliari (calcolosi della colecisti), reazioni avverse nel sito di iniezione, alterazioni del gusto, capo-giri e aumento agli esami di laboratorio dei valori di lipasemia e amilasemia. L’utilizzo di Liraglutide 3.0 mg non è raccomandato in gravidanza e durante l’allattamento, nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca congestizia di classe IV secondo la New York Heart Association, e nei pazienti affetti da insufficienza epatica e renale grave (11, 16).
Tra le nuove prospettive terapeutiche per il trattamento dell’obesità, ancora in attesa di essere approvate dall’Agenzia Italiana del Farmaco, vi sono (11, 45, 46):
•Semaglutide, agonista recettoriale del GLP-1 a somministrazione sottocutanea settimanale (47, 48);
•Tirzepatide, nuovo agonista recettoriale del GLP-1/GIP a somministrazione sottocutanea settimanale (49).
Semaglutide, agonista recettoriale del GLP-1, è considerato il più potente GLP-1 mimetico attualmente disponibile e presenta una omologia del 94% rispetto al GLP-1 prodotto dalle cellule intestinali. Si lega, in modo selettivo, al recettore per il GLP-1 attivandolo. I recettori del GLP-1 sono stati identificati a livello cerebrale, intestinale, pancreatico, cardiaco, vascolare, renale e nel sistema immunitario. Agisce a livello cerebrale, in specifiche aree deputate alla regolazione dell’appetito, a livello intestinale, ritardando lo svuotamento gastrico, e a livello pancreatico, stimolando la secrezione di insulina e riducendo la secrezione di glucagone in modo glucosio-dipendente (cioè in modo proporzionato rispetto ai valori di glicemia). Dal punto di vista clinico sono stati osservati:
• riduzione dell’introito calorico;
• riduzione della sensazione di fame e aumento della sazietà;
• sensazione di pienezza;
•controllo nell’assunzione di cibo;
•riduzione della frequenza e dell’intensità dell’appetito;
•minore preferenza per alimenti ad alto contenuto di grassi.
Altro dato molto interessante è la sua capacità di attenuare lo sviluppo di placche aterosclerotiche e di esplicare un’azione antinfiammatoria a livello del sistema cardiovascolare in modelli animali (45, 48, 50). Semaglutide è una terapia attualmente impiegata per il trattamento dei pazienti con diabete mellito di tipo 2 (51) ed è stata ampiamente studiata nel programma di trials clinici SUSTAIN (Semaglutide Unabated Sustainability in Treatment of Type 2 Diabetes) (52, 53). Semaglutide è stata studiata, inoltre, nelle persone con obesità, in un articolato programma di trials clinici randomizzati (47, 54-59), gli studi STEP (Semaglutide Treatment Effect in People with Obesity), che hanno messo in evidenza come Semaglutide 2.4 mg abbia avuto un effetto di superiorità – rispetto al placebo, a Liraglutide 3,0 mg e a Semaglutide 1.7 e 1.0 mg – nell’ottenere una maggiore proporzione di soggetti con maggiore decremento ponderale ed effetto prolungato fino a 2 anni (57).
Il decremento ponderale ottenuto con Semaglutide 2.4 mg ha sempre superato il 10% e, nello specifico, ha permesso di ottenere una riduzione del peso % rispetto al basale a 68 settimane del (45):
• 14.9% e 16% rispetto al placebo (2.4% e 5.7%) negli studi STEP 1 (47) e STEP 3 (55);
•15.8% rispetto a Liraglutide 3.0 mg (6.4%) nello studio STEP 8 (59).
Nei trials clinici, inoltre, la percentuale di soggetti in grado di ottenere un decremento ponderale ≥5% si è attestata tra un minimo del 68.8% e un massimo dell’88.7% mentre la percentuale di soggetti in grado di ottenere un decremento ponderale ≥15% si è collocata in un range compreso tra il 25.8% e il 63.7% (45). Tali dati ci indicano come con questa nuova terapia sia possibile ottenere obiettivi di decremento ponderale significativi, con conseguente beneficio sullo stato di salute, in significative proporzioni di pazienti trattati. Il profilo di sicurezza di Semaglutide è apparso sovrapponibile a quello di Liraglutide 3.0 mg (48)
Tirzepatide (28, 31, 45, 46, 49) è una molecola innovativa in grado di interagire con il recettore per il GLP-1 e con il recettore per il GIP. Tale molecola è stata definita “twincretin” in quanto è in grado di modulare sia il sistema del GLP-1 che quello del GIP e appare essere la prima molecola disponibile dotata di azione di doppio agonista recettoriale. Tirzepatide agisce riducendo l’assunzione di cibo, riducendo l’appetito, stimolando la secrezione di insulina, e ha un’azione anche sulla lipolisi e sulla lipogenesi (rispettivamente degrado e sintesi dei lipidi).
Dal punto di vista clinico Tirzepatide è apparsa in grado di (28, 31, 45):
• ridurre significativamente i valori di glicemia;
•migliorare l’insulino-sensibilità;
• ridurre il peso corporeo di più del 20%;
• migliorare la pressione arteriosa;
• migliorare il profilo lipidico (riduzione di Low Density Lipoprotein, cole-sterolo totale e trigliceridi).
È un peptide sintetico lineare di 39 aminoacidi, analogo del GIP umano, con una catena di acido grasso che ne permette il legame con l’albumina (28, 31, 45). Tirzepatide ha una affinità per il recettore del GIP uguale a quella del GIP nativo e una affinità per il GLP-1 circa 5 volte inferiore rispetto al GLP-1 nativo (28, 60, 61). La somministrazione è di tipo sottocutaneo settimanale, grazie alla sua emivita di cinque giorni. È stata approvata dalla Food and Drug Administration nel 2022 come terapia (monoterapia o in combinazione) per il diabete mellito di tipo 2 in aggiunta alla dieta e all’esercizio fisico (31).
Questa molecola si presenta come una interessante opzione terapeutica per il trattamento del diabete mellito 2 e dell’obesità (62), e alla fine del 2022 ha ricevuto anche l’approvazione come farmaco per il trattamento dell’obesità da parte della Food and Drug Administration negli Stati Uniti.
L’efficacia clinica e il profilo di sicurezza di Tirzepatide, nelle persone con diabete mellito di tipo 2, sono stati valutati nel programma di trials clinici SURPASS (Study of Tirzepatide in Participants with T2DM Not Controlled with Diet and Exercise Alone) 1-5 (63–67). Negli studi SURPASS 1-5 Tirzepatide è apparsa superiore al placebo, a Semaglutide, all’insulina degludec e all’insulina glargine in termini di raggiungimento di un migliore compenso glicemico, e ha permesso di ottenere una significativa riduzione del peso corporeo, dell’indice di massa corporea e della circonferenza vita (28). Nonostante Tirzepatide abbia posto in evidenza una serie di effetti benefici sui fattori di rischio cardiovascolare, una meta-analisi ha puntualizzato come solo nello studio SURPASS-4 siano stati riportati dati sulla sicurezza cardiovascolare di tale molecola (28, 68) ed è inoltre emerso che non sembra in grado di aumentare il rischio di eventi cardiovascolari maggiori. Un’altra meta-analisi che ha compreso 8 trials clinici (69), al contrario, ha concluso che nel gruppo delle persone trattate con Tirzepatide è stata osservata una riduzione del rischio di eventi maggiori cardiovascolari del 48% rispetto al gruppo di controllo, e una riduzione del rischio di morte cardiovascolare. Lo studio clinico di fase 3 SURPASS-CVOT, studio sugli outcome cardiovascolari, una volta terminato, potrà fornire maggiori informazioni riguardo all’effetto di Tirzepatide sugli eventi cardiovascolari maggiori (28).
Questi studi sono stati estremamente incoraggianti nell’impiego di Tirzepatide per il trattamento dell’obesità. Lo studio clinico di fase 3 SURMOUNT-1 (Study of Tirzepatide in Participants with Obesity and Overwei-ght), effettuato in pazienti con obesità o sovrappeso, ha infatti evidenziato riduzione del peso corporeo del 15.0% alla dose di 5 mg, di -19.5 % alla dose di 10 mg e di -20.9% alla dose di 15 mg per 72 settimane, rispetto al 3.1% del placebo (28, 49).
La percentuale di soggetti in grado di ottenere un decremento ponderale ≥5% si è attestata tra un minimo dell’85% ed un massimo del 91%, il 50% delle persone trattate con la dose da 10 mg e il 57% delle persone trattate con la dose da 15 mg hanno ottenuto una perdita di peso uguale o superiore al 20%. Sono, inoltre, state osservate significative riduzioni della circonferenza vita, della pressione arteriosa sistolica e dei trigliceridi. Questi incoraggianti dati di efficacia clinica si accompagnano ad un buon profilo di sicurezza. Sia nel programma di studi SURPASS che nello studio SURMOUNT-1 gli eventi avversi osservati con maggiore frequenza sono stati di tipo gastrointestinale, principalmente nausea, diarrea e vomito di tipo lieve-moderato, durante le fasi iniziali di progressivo incremento della dose. L’incidenza di ipoglicemie è risultata bassa (28, 31). Il profilo di sicurezza di Tirzepatide è apparso in linea con quello degli altri analoghi del GLP-1.
Il programma di studi clinici della molecola è ancora in corso attraverso studi che ne vedono l’impiego in pazienti con steato-epatite non alcolica, con eventi cardiovascolari, nella popolazione pediatrica, con obesità e complicanze, e nella popolazione asiatica (28, 31). Tali studi potrebbero ulteriormente ampliarne le indicazioni per il trattamento della steato-epatite non alcolica e dello scompenso cardiaco. Questi dati incoraggianti, negli ultimi anni, hanno dato vita a importanti programmi di sviluppo pre-clinico e clinico.
Considerato il successo ottenuto con le molecole aventi funzione di doppio agonista recettoriale del GLP-1 e del GIP, sono in corso ulteriori trials clinici per lo studio di (45):
• co-agonista GLP-1/glucagone a somministrazione settimanale (studi di Fase 1);
• tri-agonisti GLP-1/GIP/glucagone (studi di Fase 1).
La linea di ricerca farmacologica nell’ambito dell’obesità, inoltre, sta esplorando numerose opzioni terapeutiche e tra esse si segnalano (45, 70-83):
• amilina, ormone pancreatico secreto insieme all’insulina che sembra essere in grado di ridurre l’appetito, modulare l’intake energetico e ridurre il peso corporeo;
• pramlintide e cagrilintide, analoghi dell’amilina, a breve e prolungata durata d’azione;
• combinazione Cagrilintide/Semaglutide, con effetto sinergistico sul peso corporeo;
• setmelanotide, agonista recettoriale del recettore per la melanocortina4 nel sistema di segnale leptin/melanocortina;
• fibroblast Growth Factor 21 (FGF21), ormone secreto durante il digiuno;
• pegbelfermin, analogo a prolungata durata d’azione dell’FGF21;
• co-agonista GLP-1/FGF21 a prolungata durata d’azione;
• antagonismo della ghrelina, ormone con effetto di aumento dell’appetito;
• Growth Differentiation Factor 15, fattore con potenziale effetto di riduzione dell’appetito;
• ormone melatonina-concentrating, peptide coinvolto nel controllo dell’appetito e dell’omeostasi energetica.
Le prospettive per il trattamento farmacologico dell’obesità si stanno progressivamente arricchendo di nuovi target e di nuove molecole in grado di modulare in maniera complessa i sistemi che regolano l’appetito e l’omeostasi energetica. Si va prefigurando, nel futuro prossimo, un interessante e promettente scenario terapeutico potenzialmente in grado di adattarsi sempre di più alle specifiche caratteristiche delle persone affette da obesità, coniugando efficacia e sicurezza.