burnout: bruciati dal lavoro

Lo stress che colpisce in ufficio o in fabbrica è un disagio psicologico che incide in tutti gli aspetti della nostra esistenza e che può sfociare anche nella depressione.
Alzarsi dal letto al mattino, magari dopo una notte insonne, è sempre più dura, perché c’è un pensiero ossessivo che martella in testa, ripetitivo come un mantra: «Non voglio andare al lavoro, non voglio andare al lavoro». E ogni giorno la storia si ripete e la fatica di mettere piede in ufficio o in fabbrica si raddoppia, triplica, quadruplica...

uomo stressato

E ci si brucia o, meglio, spegne come una candela, tanto che il termine tecnico inglese che definisce la situazione richiama proprio quest’ultima similitudine: burn-out. È, per dirla in italiano, lo stress da lavoro, condizione che di recente l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inserito nell’undicesima International Classification of Diseases quale un fenomeno esclusivamente professionale che influenza la salute. Non una vera malattia, insomma, ma una sindrome che può incidere pesantemente sul benessere del dipendente.

donna stressataGLI UOMINI BEVONO, LE DONNE ABUSANO DI ANALGESICI
L’espressione burn-out syndrome (Bos) fu coniata nel 1974 dallo psicologo statunitense Herbert Freudenberger a indicare una particolare reazione allo stress da parte degli operatori sanitari (medici e infermieri), per, poi, estendersi alle altre categorie delle professioni d’aiuto a elevata implicazione relazionale (psicologi, psichiatri, insegnanti, forze dell’ordine, assistenti sociali, vigili del fuoco, avvocati, venditori), in cui, osserva Andrea Castello, psicologo specializzato in psicoterapia e psicologia del lavoro, «è molto forte l’interazione con utenza, clienti e/o collaboratori».
«Questo», interviene Ferdinando Pellegrino, psichiatra e psicoterapeuta salernitano autore di diversi libri sull’argomento, tra cui "Burn-out, mobbing e malattie da stress" (con Giuseppe Esposito, Positive Press, 2019), «perché il farsi carico di un’altra persona da un punto di vista emotivo determina uno stress maggiore. Negli ultimi anni, tuttavia, l’accezione del burnout si è ampliata fino a comprendere qualsiasi mestiere in cui lo stress non più gestito determini una sorta di logorio del lavoratore».
Un disagio psicologico che può colpire chiunque, anche a livello di genere: «Il burn-out è “democratico”», prosegue l’esperto, «nel senso che riguarda sia i maschi sia le femmine più o meno nella stessa misura. A differenziare i sessi è, però, il modo di manifestarlo: gli uomini hanno più difficoltà ad ammetterlo, chiudendosi in se stessi e dando vita a comportamenti disfunzionali al benessere psicofisico, come l’abuso di alcol; le donne, invece, chiedono più facilmente aiuto, lamentandosi, ma negli ultimi tempi tendono anche a una maggiore somatizzazione attraverso il mal di testa e un conseguente uso eccessivo di farmaci analgesici».
Secondo le psicologhe Christina Maslach e Susan Jackson, che nel 1981 hanno sviluppato il test atto a valutare il livello di burn-out di un individuo (Maslach Burnout Inventory, MBI), le persone più vulnerabili allo stress da lavoro risultano piuttosto deboli e remissive nei rapporti con gli altri, non sanno mettere i giusti limiti tra coinvolgimento personale e professionale, controllano con difficoltà gli impulsi ostili, si fanno facilmente frustrare dagli ostacoli e sviluppano un senso di impotenza dovuto al mancato raggiungimento di risultati.

UNA PERCEZIONE SOGGETTIVA
Come tutti i disagi psicologici, il burnout è determinato da una concomitanza di cause. «La somma del carattere di una singola persona e degli eventuali problemi che può avere nella vita privata (di salute, economici o di rapporti complicati con il partner, i figli, gli altri parenti o gli amici) con quella che è l’organizzazione lavorativa crea», specifica Pellegrino, «una sorta di sensibilità per cui lo stesso ambiente di lavoro può essere per alcuni motivo di stress e per altri fonte di felicità».
In poche parole, lo stress da lavoro è soggettivo.
«È vero che l’ambiente è importante», sottolinea Castello, «ma lo è altrettanto la percezione che se ne ha». Capita, infatti, prosegue Pellegrino, «che in certi casi un individuo dia colpe all’ambiente lavorativo quando, invece, tutto dipende dal suo carattere difficile».
In altre circostanze la responsabilità dell’organizzazione lavorativa è reale. Tra i fattori che possono creare stress, elenca Castello, vi sono «un carico talmente elevato di lavoro che non permette di portare a termine tutti
i compiti assegnati; un’attività lavorativa monotona con scarsi stimoli e gratificazioni; l’ambiguità del proprio ruolo, in cui non sono chiare le mansioni che si devono svolgere; la mancanza di equità anche retributiva in relazione all’impegno richiesto; orari lavorativi che rendono difficile coniugare la vita privata con la vita lavorativa; la discordanza di valori tra la persona e i valori aziendali; le conflittualità interne con colleghi e capi».

burnout e insonniaINSONNIA E RABBIA I SINTOMI
Il principale sintomo dello stress da lavoro «è l’insonnia, seguita», annota Pellegrino, «da non aver più voglia di andare a lavorare, stanchezza non motivata, difficoltà a concentrarsi, manifestazioni di rabbia infantile, scortesia con gli utenti, comportamenti controproducenti con i colleghi, a partire da critiche e offese fino al non presentarsi al cambio turno o nascondere la posta».
Gli psicologi Jerry Edelwich e Archie Brodsky hanno individuato quattro fasi attraverso le quali si sviluppa il burn-out:
1. L’idealismo, in cui il lavoratore è entusiasta e s’impegna al massimo spesso per utopistiche aspettative di essere ricompensato da gratificazioni personali
2. La stagnazione, in cui viene a mancare l’entusiasmo nello svolgere i propri compiti in quanto comprende che il lavoro non soddisfa aspettative e bisogni
3. La frustrazione, in cui, sentendosi inutile, si chiede se valga la pena svolgere il proprio compito sotto stress cronico e senza il riconoscimento altrui
4. L’apatia, cioè il burn-out vero e proprio, in cui perde qualsiasi motivazione professionale e prova disgusto per quasi tutti gli aspetti che caratterizzano la sua occupazione.

irritabile a casaMANDA IN TILT ANCHE LA VITA PRIVATA
Repulsione per il proprio mestiere a parte, il burn-out è una condizione di disagio psichico generale che ha, perciò, conseguenze su più piani.
«Sul luogo di lavoro», sottolinea Pellegrino, «si è maggiormente esposti a infortuni, si sbaglia molto di più e il rendimento ha un forte calo, che coinvolge anche quello dell’intero ufficio o, comunque, dell’équipe di cui si fa parte, in quanto lo stress e il conseguente malumore sono contagiosi». Ma le ricadute sono anche nella dimensione privata: «Nel momento in cui si entra in questo tunnel», osserva Castello, «si vive in uno stato di tensione costante, quindi si è più irritabili anche a casa. La frustrazione comporta un avvitamento: il sentirsi incapaci o addirittura falliti va a intaccare anche le relazioni con i familiari e gli amici».
Tutto questo può sfociare in disturbi d’ansia o mentali fino a una vera depressione e, prosegue Pellegrino, «nello sviluppo di sindromi psicosomatiche, in cui il logorio fisico porta a un’anticipazione della normale evoluzione di una patologia a cui si è vulnerabili (per esempio, in chi è predisposto, il diabete può insorgere prima)>>.

capo e dipendentiL’IMPORTANZA DI AVERE CAPI «UMANI»
Quando inizia a emergere l’insoddisfazione per il deterioramento dei rapporti e la perdita delle motivazioni «è già tardi», spiega Cristina Rota, psicologa e gestore da cinque anni di uno sportello counseling aziendale. «Fondamentale è, quindi, la prevenzione, cioè, creare un ambiente sereno dal punto di vista sociale, relazionale e professionale, in cui le aziende, più che puntare su benefit-palliativi quali il tavolo da ping pong o il calcetto, si attivino per dare un senso alle mansioni che svolgono i dipendenti, evidenziando, per esempio, l’importanza del loro apporto nel raggiungere gli obiettivi aziendali».
Utili sono, interviene Castello, «le riunioni periodiche tra capi e dipendenti dove i lavoratori vengano coinvolti per far emergere le criticità e per stimolarli a individuare azioni di miglioramento. È, infatti, importante il fatto di percepire un sostegno sia dall’alto sia dai propri colleghi. Sebbene il più delle volte non sia possibile ridefinire contratto e stipendi, a cambiare in positivo la percezione che si ha del lavoro è la possibilità di discutere le proprie problematiche con dirigenti che sappiano ascoltare e che cerchino di venire incontro nei limiti del possibile». Ma per far questo, insiste Cristina Rota, è necessario puntare sulla «formazione dei capi dal punto di vista della gestione del personale in quanto persone e non solo lavoratori».
Ma anche il singolo lavoratore può mettere in atto specifiche strategie, prosegue la psicologa, «ponendosi domande del tipo: “Che cosa sta cambiando?”, “Che cosa c’è di diverso rispetto a prima?”, per individuare da subito i motivi dell’insoddisfazione crescente. Se, per esempio, il rapporto con un collega si sta deteriorando, parlando immediatamente con lui si hanno maggiori probabilità di risolvere la questione prima che il non-detto aumenti il distacco. Essenziale è, poi, conoscere bene le proprie priorità personali/professionali e tener conto che queste si modificano nel tempo, per cui le scelte fatte oggi possono essere causa di stress e tensioni nel futuro.
Inoltre, per quanto possibile, occorre orientare la ricerca del lavoro verso posizioni che includano in modo prevalente le attività/mansioni che ci danno maggiore soddisfazione».

LA CURA È NEL CONFRONTO CON GLI ALTRI
Nel caso, invece, lo stress prenda il sopravvento è consigliabile, spiega Castello, «cercare il prima possibile un sostegno psicoterapico, perché più sia aspetta e più faticoso diviene il recupero. Fondamentale è anche non chiudersi in se stessi, perché il tenersi dentro i problemi è il presupposto per l’inizio della somatizzazione, ma cercare qualcuno con cui confrontarsi a partire proprio dal posto di lavoro. Pur essendo un succedaneo, tuttavia aiuta cercare di compensare la mancanza di gratificazioni lavorative cercandone altre esterne, per esempio nello sport o con i vari tipi di hobby, utili anche per scaricare le tensioni».

ESISTE UNA TUTELA LEGISLATIVA
Oggi contro lo stress da lavoro c’è anche una maggiore tutela normativa rispetto al passato. «Il decreto legislativo 81/2008 (ex 626/1994)», specifica Pellegrino, «prevede che le aziende pubbliche e private debbano valutare lo stress dell’ambiente lavorativo (misurazioni assolutamente anonime) e, laddove vi siano situazioni critiche, è prevista tutta una serie di azioni che le stesse aziende hanno l’obbligo mettere in essere per tutelare i dipendenti».
È, inoltre, prevista anche una tutela da parte dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), il quale, conclude lo psicoterapeuta, «riconosce come malattia professionale i disturbi di adattamento, cioè disturbi psichiatrici legati allo stress».

OK SAUTE E BENESSERE- numero 10 ottobre 2019
Autore: Marco Ronchetto