STRESS E COPING IN POLITICA

Parlando di stress e di strategie di coping in politica la prima considerazione da fare è la puntualizzazione di un concetto molto importante che solo di recente è stato riconsiderato e valorizzato dalla psicologia: non esiste lo stress in assoluto, né la strategia di coping che sia la più valida. Esiste invece il 

stress e coping in politica singolo uomo che con la sua personalità affronta le vicissitudini della vita (stress) scegliendo di affrontare e risolvere i problemi nel modo migliore possibile (coping), secondo la proprie motivazioni e competenze.
Tradotto in termini pratici ciò vuol dire che assume particolare rilevanza nel nostro discorso la strutturazione di personalità di un soggetto e soprattutto la forza del suo “Io”.
In pratica, una persona fragile, dipendente, insicura, demotivata e con scarsa autostima, che ha sempre bisogno dell’aiuto e del sostegno degli altri avrà minori possibilità (bassa tolleranza alle frustrazioni) di affrontare lo stress della vita con strategie di coping vincenti.
Un individuo forte, sicuro, competenze, dotato di un buon grado di autonomia funzionale e di una buona autostima avrà maggiori possibilità di cogliere nel disagio e nello stress quotidiano le opportunità migliori che gli consentono di raggiungere obiettivi preziosi per la sua crescita umana e professionale. Sarà cioè in grado di utilizzare strategie di coping vincenti.
In politica, come in amore o in affari, lo stress appare dunque fortemente correlato al modo di pensare e di essere di ogni persona e alle motivazioni che la spingono a conquistare determinate posizioni.
Non parlerei dunque di politica in generale ma distinguerei subito il politico leader da quello dipendente.
Il primo ha obiettivi chiari, è consapevole del suo ruolo di leader e sa che deve essere una guida capace di agire interpretando le necessità della comunità, del gruppo di appartenenza; crede fermamente nel suo ruolo, ha una coerenza interna che lo contraddistingue e lo caratterizza.
La sua posizione lo espone tuttavia a possibili frustrazioni per la responsabilità che ha nel dover mantenere unito il gruppo e raggiungere specifici obiettivi, elettorali o di realizzazioni di programmi. Ciò non lo spaventa ma viene vissuto come una sfida da portare avanti con decisione e fermezza, perché fonte di gratificazione e realizzazione personale.
Il politico leader non si arrende di fronte alle difficoltà, non cede nei momenti di crisi, ma crede fermamente di essere in grado di gestire qualsiasi difficoltà. Ha una buona autostima ed un forte vissuto di autoefficacia percepita: sa di saper essere e saper fare!
• Affronta i compiti difficili come sfide da vincere piuttosto che come pericoli da evitare;
• si pone obiettivi ambiziosi e resta fortemente impegnato nel loro raggiungimento;
• recupera velocemente il proprio senso di efficacia a seguito di insuccessi o regressioni;
• affronta le situazioni minacciose con la sicurezza di poter esercitare un controllo su di esse.
Tutto ciò comporta nel tempo lo sviluppo di un atteggiamento efficace che gli consente di gestire in modo ottimale (flusso emotivo) la complessità delle problematiche quotidiane (strategie di coping vincenti), di avere successi personali, di ridurre lo stress negativo e di essere meno vulnerabile allo sviluppo di condizioni di disagio emotivo o di veri quadri depressivi.
Ma i leader scarseggiano; lo dicono gli industriali che hanno difficoltà a reperire sul mercato persone competenti ed affidabili (…la guerra dei talenti…), lo ribadiscono le statistiche, lo si vede nella vita di tutti i giorni.
C’è infatti la diffusa convinzione che gli individui hanno una limitata autonomia funzionale; ciò favorisce lo sviluppo di condizioni di dipendenza e insicurezza che, nel caso specifico, vanno ad identificarsi nella figura del politico dipendente che utilizza – per sopravvivere allo stress - meccanismi di difesa e di sviluppo nevrotici.
Il partito diventa come una “mamma”, ovvero il luogo dove poter trovare protezione, poter coltivare desideri irraggiungibili individualmente o perseguire obiettivi attraverso meccanismi competitivi facilitati.
Il politico dipendente è afflitto dalla “mancanza di potere” o dalla paura di poter perdere la protezione che ha sempre avuto; non ha slancio, avanza pretese che Karen Horney definirebbe “nevrotiche” (…non capisco perché nonostante abbia fatto tanto bene non mi hanno votato, proprio lì dove ho investito di più…), è alla continua ricerca di “potere”, non ha la consapevolezza del proprio disagio interiore, non ha la capacità di sviluppare valide strategie di coping.
Egli si è avvicinato alla politica con una “motivazione di mancanza”, ha cercato e cerca nella politica una soluzione alle proprie difficoltà per poter reggere la normale competizione presente nella vita.
Non ha una propria coerenza interna, ha scarsa stima di sé ed ha bisogno costantemente dell’approvazione degli altri, perché non ha nessuna capacità di autonomia. Per lui le difficoltà sono ostacoli insormontabili da affrontare, gli insuccessi, anche lievi, rappresentano vere catastrofi e possono essere una vera minaccia alla sua integrità psicofisica. Non è abituato ad assumersi reali responsabilità, anzi le evita ed è molto bravo ad addossare agli altri ogni colpa rispetto a eventuali insuccessi personali o di partito.
Per il politico dipendente prevalere non è un semplice piacere (slancio vitale, come direbbe Daniel Goleman), ma un bisogno essenziale che richiama il concetto della nevrosi narcisistica, del vissuto di onnipotenza infantile: tutto viene utilizzato come possibilità di conferma del proprio “io sono tutto”, senza aver fatto i conti con la realtà.
In queste condizioni il politico appare decisamente fragile, insicuro, incapace di sviluppare strategie positive di coping, particolarmente vulnerabile allo sviluppo di crisi emotive o di condizioni persistenti di disagio psichico, che possono nel tempo strutturarsi in disturbi gravi, o dar luogo a turbe comportamentali (uso di droghe o farmaci) che lo inducono ad acquisire uno stile di vita disfunzionale o fallimentare.
Naturalmente i profili delineati appaiono come due estremi di un continuum, ma che ben descrivono le diverse motivazioni che spingono un soggetto verso la politica e di conseguenza le strategie di coping adottate.
Quale consiglio dare allora a chi investe in politica? Quali sono le strategie di coping più efficaci da adottare?
Per chi vive di politica può essere opportuno fermarsi un attimo e considerare quali sono le motivazioni che lo spingono in tal senso, quali risorse sono disponibili, ed alla luce di ciò valutare quali investimenti  si intendono fare nel breve e nel lungo periodo.
Lo stress può essere una opportunità, ma occorrono competenze specifiche, non ci si improvvisa. Le ripercussioni negative dello stress sulla qualità di vita sono infatti direttamente proporzionali allo sforzo richiesto per gestire il quotidiano: più si è competenti, più si hanno obiettivi chiari, più si riesce ad essere efficaci.
Anche in politica, come in qualsiasi settore della vita, occorre una formazione specifica, un percorso formativo che favorisca l’acquisizione di abilità trasversali - come la capacità di comunicare, di mediare i conflitti, di gestire i gruppi, di pianificare progetti, di essere leader… - utili alla efficacia delle strategie di coping che si intendono adottare.

 

Per approfondire:
• Pellegrino F, Essere o non essere leader, Positive Press, Verona, 2002
• Bandura A, Il senso di autoefficacia, Erikson, Trento, 1996
• Rocchini P, Le nevrosi del potere, Editoriale Città del libro, Pontremoli, 1992
• Pellegrino F, Oltre lo stress, Centro Scientifico Editore, Torino, 2006