CEFALEE

L’ampio spettro delle cefalee colpisce in modo indistinto un numero ampio di persone, con quadri clinici a diversa espressività sintomatologica e con livelli di gravità estremamente variabili; in molti casi la cefalea costituisce un rilevante problema di salute, potendo determinare quadri clinici cronici ed invalidanti. Le

cefalee cefalee presentano un ampio spettro di manifestazioni cliniche e l’approccio diagnostico appare non sempre agevole, ma richiede una particolare attenzione in termini di diagnostica differenziale, onde favorire il riconoscimento puntuale delle forme di cefalee secondarie riconducibili a patologie organiche e comunque la comprensione della complessa interazione tra cefalee e patologie organiche a maggiore comorbidità.
Ma l’attenzione del clinico deve essere sempre tale, in ogni fase della malattia, anche al cospetto di forme croniche cefalalgiche, laddove può innestarsi in qualsiasi momento una patologia organica che può passare inosservata.
L’attenzione agli aspetti organici delle cefalee, nella molteplicità delle manifestazioni cliniche, deve essere quindi sempre elevata, con un monitoraggio continuo del quadro clinico.
Dal punto di vista psichico alcune forme di cefalee – più che altre - presentano importanti connotazioni psicologiche e psichiatriche che vanno riconosciute in quanto se adeguatamente prese in considerazione e trattate la prognosi migliora; è tuttavia anche noto che alcune forme di cefalea possono essere espressione di disturbo psichiatrico come l’ansia o la depressione.
Si tratta di quadri clinici a prevalente espressività somatica (depressione o ansia mascherata) in cui diventa difficile stabilire l’autonomia clinica della cefalea rispetto alla presenza di problematiche psicologiche o psichiatriche.
La chiave di lettura del rapporto tra le cefalee e l’ansia della vita quotidiana passa attraverso i comuni meccanismi di adattamento e di difesa.
Nei pazienti cefalalgici si assisterebbe ad un breakdown dei sistemi adattivi fisiologici e psicologici quale manifestazione di un’alterata risposta adattiva allo stress; le continue sollecitazioni della vita quotidiana inducono l’individuo a ricercare risposte adeguate di adattamento onde conservare l’omeostasi biologica dell’organismo.
La capacità di fronteggiare gli stressors si realizza attraverso l’integrazione delle risposte endocrine, vegetative, immunologiche, emozionali e comportamentali.
Soprattutto per alcune forme di cefalee si ipotizza che la risposta algica debba considerarsi come la risultante dell’azione di challenges psico-sociali (conflitti familiari, stress da lavoro, crisi emotive), variazioni ormonali cicliche, fattori geoclimatici e di altra natura su una personalità fragile e sensibile, con una bassa soglia al dolore (suscettibilità cefalalgica).
Risposte adattive stabilmente disordinate sembrerebbero contribuire all’insorgenza di quadri clinici cefalalgici e alla loro cronicizzazione; ne consegue che un corretto approccio medico deve essere biopsicosociale o psicosomatico.
Se per alcune forme di cefalee può essere riscontrata una causa organica ben definita, nella maggior parte dei casi esse rappresentano la convergenza di momenti patogenetici diversi, sia organici che psichici, ed in molti casi, ad esempio nelle cefalee del post-ictus cerebrale, può essere difficile stabilire quanto la cefalea sia ascrivibile alla lesione organica e quanto sia correlata alla perdita del ruolo sociale o all’ansia che sottende la preoccupazione di un nuovo episodio ictale o all’ansia derivante dal dover riadattarsi (distress) ad una nuova condizione di vita, in funzione della malattia.
Un esempio molto significativo del complesso rapporto mente-corpo è dato dall’emicrania mestruale, termine che indica la presenza di crisi di cefalea che si verificano prima, durante o immediatamente dopo il periodo mestruale.
In ogni caso qualsiasi forma di cefalea, dalla muscolo-tensiva all’emicrania, presentano problematiche ed implicazioni psicologiche e psicopatologiche che meritano particolare attenzione da parte del clinico.
L’ansia e la depressione rappresentano i disturbi psichiatrici che si rilevano con maggiore frequenza nei pazienti cafalalgici; occorre valutare in ogni paziente la presenza di questi disturbi in quanto la loro presenza condiziona il decorso della cefalea e rende più difficile la gestione del programma terapeutico.
L’insorgenza di un quadro depressivo e ansioso in soggetti con una storia clinica di cefalee può modificare il quadro clinico di base e peggiorare la prognosi; l’ansia contribuisce ad innalzare il livello di tensione, favorisce l’instaurarsi di condotte di evitamento ed acuisce le somatizzazioni, il nucleo depressivo alimenta un atteggiamento ipocondriaco, comporta un rallentamento generale dell’ideazione del paziente, un disinteresse per l’area affettiva, lavorativa e sociale, ma può anche determinare un’accentuazione della tensione con quadri di agitazione psicomotoria.
Evidenze scientifiche suggeriscono quindi che la presenza di un disturbo psichiatrico in comorbidità tende a peggiorare il decorso dei quadri cefalalgici, aumentandone sia la frequenza e la gravità e rendendoli mono responsivi al trattamento.
La presenza della depressione comporta inevitabilmente un maggiore rischio suicidario con la necessità di optare per un monitoraggio più assiduo delle condizioni cliniche del paziente in corso di trattamento.
L’elevata incidenza di quadri ansiosi e depressivi in pazienti cefalalgici rende ragione della necessità di considerare l’esame psichiatrico come parte integrante della valutazione di questi soggetti; ciò anche in ragione del fatto che il sintomo cefalea può essere esso stesso manifestazione di un quadro depressivo  o ansioso. 
Il mal di testa esprime spesso un disagio esistenziale, una difficoltà a gestire lo stress quotidiano, una inibizione del pensiero che assume di fatto la funzione di un meccanismo di difesa che scatta quando lo stress diventa insostenibile, quando il livello di tensione nervosa (iperarousal psicofisiologico) è diventato insostenibile.
Esiste cioè una vulnerabilità individuale a sviluppare quadri clinici cefalalgici in quanto la percezione del dolore è un fenomeno complesso in cui la componente emotiva e cognitiva della percezione ha un ruolo fondamentale; entrano cioè in gioco, nella percezione del dolore, molti fattori psicologici soggettivi che ne influenzano la natura, l’intensità ed il decorso.
Oggi sappiamo infatti che la cefalea presenta una componente psicologica che occorre decodificare e spetta al medico comprendere le ragioni del mal-essere del paziente in quanto una valutazione attenta di tali problematiche consente una migliore pianificazione del programma terapeutico.
Occorre quindi valutare il livello soggettivo di vulnerabilità al disagio, la natura degli eventi stressanti della vita cui il soggetto è o è stato sottoposto e quali sono le situazioni di stress quotidiano oggettive o che il paziente vive come tali.
Capita tuttavia di incontrare pazienti cefalalgici che riferiscono di condurre una vita normale, di non avere particolari conflitti e che non vivono situazioni di stress; comprendono mal volentieri le ragioni del medico che, avendo escluso la presenza di malattie organiche, rivolge l’attenzione ai fattori di stress, e difficilmente accettano l’invio allo psichiatra o allo psicologo.
Molti soggetti presentano infatti una naturale accelerazione fisiologica che appare essere uno stile di vita, un modo di essere, ed è difficile in tali circostanze comprendere le ragioni della sofferenza psicologica in quanto non sempre facilmente evidenziabili all’osservazione psicologica; occorre pertanto soffermarsi a lungo con il paziente, instaurare un buon rapporto e lavorare sui fattori di personalità che condizionano il suo stile di vita.
Più che di conflitti, di traumi o di eventi o situazioni stressanti, occorre comprendere in che modo il paziente gestisce il quotidiano, il suo tenore di vita, i suoi impegni, le sue preoccupazioni; in questo lento lavoro di comprensione si può favorire – già in questa fase di osservazione e valutazione - un rallentamento dei ritmi di vita del paziente, aiutandolo a ricondurre lo stato di tensione a livelli più funzionali.
L’impegno psicologico diventa più importante laddove si vuole comprendere le ragioni del malessere individuale; dal punto di vista psicologico il paziente che somatizza presenta una intrinseca difficoltà a riconoscere e decodificare le proprie emozioni. Tale difficoltà, nota in letteratura con il termine alexitimia, appare riconducibile all’attuazione da parte del soggetto di un linguaggio concreto, polarizzato alla descrizione minuziosa dei sintomi piuttosto che dei problemi che hanno favorito l’insorgenza del disagio psichico.
Questi pazienti non hanno alcuna confidenza con il proprio mondo interiore, hanno difficoltà a provare emozioni, a viverle in modo naturale, a riconoscere il proprio disagio interiore.
Tratti alexitimici sono di frequente osservazione nella popolazione generale, possono essere stabili o correlati a particolari situazioni della vita e sono importanti da considerare in quanto rappresentano una vera barriera al rapporto medico-paziente in quanto l’alexitimia ostacola l’empatia e ogni tipo di relazione emotiva.

 

Bibliografia:
Pellegrino F, Psicosomatica, Mediserve, Milano-Firene-Napoli, 2004
Pellegrino F., Ansia, vita quotidiana e cefalea, Percorsi editoriali di Carocci Editore, Roma, 2008
Pellegrino F, Personalità e autoefficacia, Springer, Milano, 2010