<<Sono alcuni giorni che non dormo, mi sento tesa, inquieta, ho la strana sensazione che possa succedermi qualcosa, non riesco più a concentrarmi, sono sempre irritabile, anche piccole cose mi fanno saltare i nervi, mi sento la testa vuota, a volte ho la sensazione di svenire>>.
L’ansia è l’elemento vitale dell’esistenza, è fonte di curiosità, interesse, impegno,
motivazione; senza l’ansia la vita non avrebbe senso, e sarebbe un pericolo costante perché l’ansia attiva i sistemi di allarme che consentono all’individuo di riconoscere e fronteggiare il pericolo, di prestare attenzione a tutti i cambiamenti, di tener testa alle esigenze dell’ambiente esterno, di gestire il proprio mondo emotivo.
Hans Selye per primo ha parlato della sindrome da adattamento, del significato dello stress, ponendo le basi per la comprensione del ruolo che lo stress ha nella genesi dei disturbi emotivi, ed in particolare dei disturbi dello spettro ansioso-depressivo.
Egli stesso inizialmente non avrebbe mai immaginato di poter giungere alla definizione di un concetto oramai universalmente accettato. L’interrogativo di partenza che lo incuriosì era la comune risposta degli uomini alla sofferenza, tutto ciò che da un punto di vista biologico si verifica in ciascun individuo come risposta ad una minaccia o agli eventi stressanti.
Arrivò così, attraverso percorsi inusuali e grazie al suo spirito creativo, ad identificare questo comune denominatore: gli effetti biologici dello stress su qualsiasi organismo.
Ciò equivale ad affermare che qualsiasi stimolo (stressors), interno o esterno, che colpisce un individuo determina una risposta nell’organismo (risposta di stress) il cui obiettivo è quello di salvaguardare la vita stessa dell’individuo, consentendogli di affrontare l’evento stressante in maniera adeguata.
L’ansia, nel suo significato originale, ha un valore protettivo ed una funzione adattiva in quanto si configura come una risposta “rapida” ed “efficace” ad uno stimolo che scuote l’equilibrio di una persona, è il “sale della vita”, senza il quale non si potrebbe vivere.
Il passo successivo è stato quello di assegnare un ruolo attivo alla persona, alle sue capacità cognitive, al suo modo di vedere e gestire il mondo, alla sua abilità di gestire i riflessi emotivi legati allo stimolo, alla sua capacità di esprimersi in modo personale ed unico di fronte agli eventi stressanti.
Lo stimolo in sé non ha un valore assoluto, ogni persona reagisce in modo personale agli eventi della vita in rapporto al significato personale che lo stimolo suscita; esiste cioè una sorta di “filtro” che consente all’individuo di vagliare la natura dello stimolo, di esprimere un proprio giudizio e di “decidere” sull’entità della risposta e sul livello di “mobilizzazione delle risorse” utili per fronteggiare la situazione.
Questo concetto è determinante per la comprensione dei meccanismi psicologici dell’ansia, di come uno stesso evento possa suscitare diverse reazioni, e come l’espressione patologica dell’ansia si sviluppi solo in alcune persone.
La risposta cognitivo-emotiva allo stress è cioè la chiave di lettura dell’ansia patologica e rende ragione del fatto che uno stesso stimolo può suscitare reazioni diverse in rapporto alla personalità del soggetto, alla sua storia, alle sue vicende familiari, sociali e lavorative.
La risposta allo stimoli della vita è soggettiva: razionalità e affettività si integrano fornendo alla persona gli strumenti per vivere entro i limiti fisiologici dell’ansia (finestra vitale) e conservare un equilibrio che possa garantire la giusta dose di ansia, la giusta tensione o preoccupazione per la vita (stress positivo o eustress).
C’è chi riesce a far fronte agli eventi della vita, agli intrecci di eventi stressanti cronici e acuti attraverso meccanismi di difesa psicologici ben organizzati e grazie alla struttura di personalità che si esprime attraverso un “Io forte e maturo” in cui gli aspetti razionali ed emotivi appaiono ben integrati.
C’è chi invece è più fragile, meno solido e di fronte al primo reale motivo di preoccupazione sviluppa un disturbo d’ansia clinicamente significativo.
Perde il controllo della situazione, con un profondo senso di smarrimento che ha messo in crisi il suo ruolo manifestando la fragilità del proprio Io.
La maggiore fragilità in qualsiasi momento della vita può far oltrepassare la soglia del ben-essere (eustress) per ritrovarsi in una condizione di patologia (stress negativo o distress) che, se non gestita adeguatamente, può nel tempo strutturarsi e creare le condizioni per lo sviluppo di disturbi psichiatrici cronici e di maggiore gravità, come il disturbo d’ansia generalizzata.
Il livello soglia è strettamente personale ed è correlato alla capacità del singolo di adattarsi in termini positivi agli eventi della vita; il superamento di questo livello determina infatti una risposta disadattiva allo stress con inevitabili conseguenze negative sulla qualità di vita del soggetto: dall’ansia fisiologica si entra in un’area patologica (area di rischio psicosomatico) lungo un continuum dai limiti sfumati e non ben definiti, ma importanti da comprendere ed analizzare in quanto di confine tra la “normalità” e la “patologia”, tra il pre-clinico” e la “clinica”, tra ciò che richiede solo attenzione ed interesse e ciò che invece richiede uno specifico trattamento.
Nella pratica clinica l’evidenza dimostra come l’acquisizione di queste nozioni possa essere importante per il futuro del paziente in termini di prevenzione e terapia e come la biologia dello stress possa essere una valida guida per la comprensione dei meccanismi alla base dello sviluppo dei disturbi d’ansia.
L’adattabilità dell’organismo ha limiti che non possono essere superati e tutte le ricerche dimostrano che la resistenza agli agenti stressanti arriva solo fino ad un certo punto (7,8).
Lo stress è il grande equalizzatore delle funzioni biologiche, ma quando diventa cronico o risulta particolarmente intenso può determinare un crollo psicofisico dell’individuo, con esaurimento di tutte le energie disponibili, secondo il modello della General Adaptation Syndrome (G.A.S.) o Sindrome Generale di Adattamento: in un primo momento si ha la fase di allarme. L’organismo percepisce la minaccia, ne prende atto, raccoglie le risorse, si prepara ad affrontare l’emergenza. Segue la fase di resistenza: ogni attività, sia biologica che comportamentale, è mirata alla conservazione dell’omeostasi perturbata; si cerca di superare la crisi in atto. Infine, vi è la fase dell’esaurimento.
Infatti, dopo un’esposizione prolungata a una situazione di rischio, o quando un evento è particolarmente intenso, le riserve di energia dell’organismo si esauriscono: “all’inizio è dura, poi ci si abitua, alla fine non si regge più”.
La lettura in termini clinici della General Adaptation Syndrome si propone pertanto come un utile strumento per il medico per comprendere il grado di adattabilità di un soggetto e decodificare le sue richieste d’aiuto che, sotto forma di sintomi, pervengono nella pratica quotidiana.
La casalinga stanca, il professionista frustrato, il ragazzo che non ha superato l’esame, la maestra che non riesce a concentrarsi durante le lezioni, il cameriere che si irrita in modo insolito con i clienti, la nonna che piange e che non sopporta i nipoti, il vigile che aggredisce un automobilista, il diabetico o l’infartuato che non assumono i farmaci mettendo a rischio il proprio benessere, la madre eccessivamente preoccupata per i propri figli e con continui mal di testa sono tutte situazioni a cui il medico deve dare una risposta concreta ed un aiuto.
Esistono molte evidenze rispetto al continuum psicopatologico dell’ansia ed anche i sistemi nosografici attuali colgono tale aspetto lasciando al medico ampia possibilità di scelta, nell’ambito delle categorie proposte, nella valutazione dei sintomi che hanno un reale significato clinico.
L’ansia patologica è un’esperienza pervasiva e devastante, inibisce e paralizza l’individuo, lo rende inerte e preoccupato, fragile e vulnerabile.
L’ansia esprime un profondo senso di smarrimento del paziente, un vuoto profondo, una reale incertezza rispetto al futuro, un vissuto di insicurezza e paura che non può essere sottostimato e non valutato nella giusta considerazione. E’ la realtà che sfugge, che si smaterializza per lasciare il posto al pericolo, all’incertezza e all’ignoto in modo destabilizzante.
L’intervento specialistico diventa in questi casi fondamentale e spesso risolutivo.
Per approfondire:
• Pellegrino F, Ansia sottosoglia, comprendere le radici del disagio psichico, Positive Press, Verona, 2003
• Pellegrino F, Psicosomatica, Mediserve, Milano-Firene-Napoli, 2004
• Pellegrino F, Personalità e autoefficacia, Springer, Milano, 2010
• Pellegrino F, L’approccio integrato ai disturbi mentali, Springer-Verlag Italia, 2011