LOGORIO PROFESSIONALE

Riprendo e presento argomentazioni che a partire dal 1990 ho proposto nel corso di molteplici eventi formativi e che finalmente oggi trovano conforto nel riconoscimento in Italia – avutosi nel 2004 - del disagio psichico – lo stress lavorativo – come malattia professionale. Ciò solleciterà un

stress lavorativo e sindrome del burn-out maggiore impegno da parte delle Aziende pubbliche e private nella prevenzione degli effetti deleteri dello stress lavorativo, ma anche un rinnovato impegno ed interesse a livello personale per meglio gestire le proprie risorse.

La sindrome del burn-out
Ho iniziato ad interessarmi al burn-out negli anni 90 con una indagine sullo stress lavorativo condotta sui medici della provincia di Salerno; in realtà non diciamo nulla di nuovo, lo stress è sempre esistito, ed esisterà sempre nella molteplicità delle sue manifestazioni.
Parlare di Burn-out ci aiuta per lo più a focalizzare l’attenzione su singole categorie professionali – le helping professions - per individuarne le difficoltà e i bisogni e formulare specifici programmi di prevenzione.
Il Burn-out può essere concepito come una sorte di transazione; un patto che facciamo con noi stessi quando non riusciamo a reggere i ritmi della vita quotidiana, quando non siamo in grado di sostenere le richieste che vengono dall’ambiente esterno (sovraccarico lavorativo, svolgimento di compiti non appropriati…) o dal nostro intimo (ambizioni eccessive, obiettivi non realistici…).
Se non riusciamo a dare risposte esaustive a quanto ci viene chiesto ci difendiamo, facciamo una transazione con noi stessi, cerchiamo in ogni caso, con grosse difficoltà e cercando di non compromettere eccessivamente la performance, di reggere rispetto alla realtà quotidiana ed alle responsabilità che abbiamo.
Si può quindi iniziare a definire il burn-out come il risultato di una inadeguata gestione dello stress lavorativo, come un processo inefficace di adattamento ad uno stress individuale eccessivo, una condizione di disadattamento, nata da un processo transazionale che rappresenta una soluzione di accomodamento o di compromesso, una transazione con la propria coscienza di fronte a situazioni di lavoro non altrimenti gestibili.
Si tratta cioè di un processo nel quale un professionista precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentati sul lavoro e caratterizzato da esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotta realizzazione personale; una sindrome in cui si ha una progressiva perdita di idealismo, di energia, di obiettivi, una perdita di motivazioni e di aspettative ad essere bravi nel fare del bene, uno stato di affaticamento o frustrazione nato dalla devozione a una causa, un modo di vita o una relazione che hanno mancato di produrre la ricompensa attesa.
In questo senso il burn-out può essere discusso in termini di delusione, fatica, disillusione, disperazione e impotenza ed è considerato come l’ultimo passo di una progressione di tentativi senza successo per far fronte ad una serie di condizioni negative o stressanti.
Il significato quindi della reazione da stress lavorativo può in definitiva essere rappresentata come lo spegnersi della motivazione lavorativa: l’operatore che ha entusiasmo e rispetto per la propria professione, ad un certo punto non riesce più a reggere i ritmi e tende a spegnersi progressivamente, come una candela.
Per fortuna possiamo immaginare anche il “Burn-out” come un momento di riflessione, un’occasione per rigenerarsi; non dobbiamo, infatti, pensare ad una sindrome del tutto o nulla, ad un fenomeno che non possiamo combattere, ma a un’occasione per riflettere sulle cose che facciamo per ritrovare poi in noi stessi il modo per affrontare meglio le difficoltà quotidiane.
Le cause del burn-out sono diverse, dai fattori di personalità alle cause connesse all’organizzazione aziendale; può pertanto essere considerato un fenomeno multifattoriale che si manifesta sul versante clinico con diversi segni e sintomi.

Un’indagine condotta su 4500 operatori sanitari
Abbiamo condotto un’indagine su 4500 operatori sanitari italiani (in prevalenza medici che operano in pronto soccorso, medici di medicina generale, anestesisti, psichiatri, ginecologi, pediatri, odontoiatri e medici operanti in reparti ad alta specializzazione - centro trapianto midollo osseo, reparti con pazienti affetti da AIDS -); fanno parte del campione anche un gruppo di 600 infermieri, e 60 operatori con diverse qualifiche (assistenti sociali, ostetriche…).
L’analisi dei singoli gruppi del campione e le differenze tra gruppi di operatori appartenenti a settori specialistici diversi e a diversi profili professionali, è oggetto di altre pubblicazioni.
L'età media del campione è di 45 anni, con una prevalenza del sesso maschile (58.7%), si tratta per lo più di persone coniugate (72.7%) e con una posizione lavorativa stabile.
Il 13.8% del campione si ritiene completamente soddisfatto dell’attività professionale, il 63.9% lo è abbastanza, il 19% poco, e il 3.4% si ritiene per niente soddisfatto. La professione è giudicata utile (69.2%), creativa (16.8%), noiosa (3.1%), affascinante (30.9%), frustrante (17.7%), monotona (9.7%), gratificante (37%).
La gratificazione lavorativa appare quindi nel complesso soddisfacente; ciò indica che, contrariamente a quanto si possa ritenere, buona parte dei professionisti lavora con entusiasmo e crede nella propria professionalità.
Tuttavia, questi stessi operatori ammettono che la professione può essere fonte di stress e causa di disagio psicologico e malessere fisico (ansia, tensione, depressione, irritabilità, insonnia, stanchezza…); molti, pur conservando un giudizio positivo, vivono in prima persona gli effetti negativi legati allo stress professionale e riconoscono che tale stress può ripercuotersi negativamente sul proprio ambiente familiare e quindi sulla vita privata.
Il 46.4% ritiene di riuscire a dedicare a se stesso e/o alla propria famiglia un tempo sufficiente, contro il 53,2% che ritiene di non avere a disposizione tempo sufficiente.
Burocrazia, lavorare in strutture amministrative mal gestite, essere scarsamente retribuiti, avere un sovraccarico di lavoro, esercitare la propria attività professionale in branche della medicina non affini ai propri interessi e/o proprie competenze, i limiti degli spazi e dei tempi istituzionali riguardanti la crescita professionale, il rapporto con i colleghi sono ritenute le cause più frequenti legate allo stress lavorativo.
La struttura di personalità è ritenuta da tutti importante nel determinare o rendere più vulnerabile un soggetto al burn-out.

Il burn-out come malattia professionale: le patologie da “costrittività organizzativa”
Una condizione di distress psicologico legata a “costrittività organizzativa” o comunque al mondo del lavoro, comporta inevitabili conseguenze sul piano della produttività individuale e aziendale: l’individuo rende di meno, si assenta più facilmente dal lavoro, può commettere errori professionali, è più “cinico” nei confronti dell’utenza, meno disponibile nei confronti dell’azienda...
In tema di “salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro” il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 prende atto della progressiva modificazione dei “modelli tradizionali di esposizione al rischio” quale conseguenza della mutata tipologia ed organizzazione del lavoro; tale modificazione ha portato alla definizione delle patologie da rischi emergenti (stress, burn-out, mobbing...) associate a fattori psico-sociali connessi all’organizzazione del lavoro.
Si prende finalmente atto dell’importanza dei fattori psicologici all’interno del contesto lavorativo, di quanto possano danneggiare l’individuo e l’Azienda se non ben gestiti, ma anche di come sia determinante un intervento di prevenzione volto ad una migliore gestione delle risorse umane in ogni ambito lavorativo.
Tra gli obiettivi principali del Ministero della Salute vi è infatti quello della riduzione dei rischi per la salute ed il progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro, la riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni alla salute dei lavoratori.
L’impegno prioritario appare dunque quello di riconoscere e gestire in tempo utile le patologie da distress lavorativo e, soprattutto, potenziare e coordinare le attività di prevenzione e vigilanza rispetto ai processi e alle procedure di lavoro anche attraverso il monitoraggio dell’applicazione del D.Lgs 626 del 1994, legge che recepisce la direttiva 89/391 della Comunità Europea.
L‘importanza di tale problematica è stata inoltre rafforzata dalla definizione, nell’ambito delle malattie professionale, delle patologie da “disfunzione dell’organizzazione lavorativa” .
E’ infatti con la circolare n. 71 del 17 dicembre 2003 che l’INAIL affronta la problematica inerente ai disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, facendo rientrare le relative patologie nell’ambito del campo di applicazione della malattia professionale che, al pari dell’infortunio sul lavoro, costituisce l’oggetto dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’Istituto.
Tale circolare è stata sostanzialmente recepita nel decreto del 27 aprile 2004 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (GU n 134 del 10.6.2004) che, approvato in sostituzione del previgente d.m. del 18.04.1973, contiene l’elenco aggiornato delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti dell’art. 139 del testo unico sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e malattie professionali; qui ritroviamo gruppo 7 delle “Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzione dell’organizzazione del lavoro”, riferite a condizioni lavorative di costrittività organizzativa cui sono correlabili specifiche patologie neuropsichiche.
Il gruppo 7, nello specifico, include il disturbo dell’adattamento cronico e il disturbo post-traumatico cronico da stress.
E’ questo l’ambito in cui ci si può muovere per la codifica delle malattie professionali correlate allo stress lavorativo; il gruppo così descritto appare come uno sforzo lodevole per ridurre i margini di discrezionalità e consentire anche, laddove necessario nelle sedi di controversia giudiziaria, di avere a disposizione delle linee guida di indagine.

Personalità e gestione dello stress
Chi ha spostato il mio formaggio?
E’ quanto si chiede Spencer Johnson in un simpatico volumetto in cui attraverso una storiella, descrive i diversi atteggiamenti di chi, oggi più che mai, si trova a dover fronteggiare cambiamenti vistosi, più o meno improvvisi, in un mondo – come quello della salute – che cambia di continuo.
In passato si era abituati a situazioni più tranquille, oggi è necessario essere capaci di cambiare, essere flessibili nei riguardi del mondo che cambia, dovendo imparare a districarsi nelle regole del gioco del nuovo sistema: regole non sempre chiari e lineari, spesso indistinte e confuse, a volte non esistenti o che mutano senza ragione!
Al professionista di oggi la società richiede qualcosa in più rispetto al passato; lo chiede a volte senza dargli la possibilità di avere a disposizione gli strumenti idonei per potersi aggiornare e formare rispetto alle nuove necessità.
Quali devono essere quindi le capacità umane e professionali degli operatori per far fronte a queste nuove regole del gioco?
Come dovrebbe essere un operatore o cosa dovrebbe fare per affrontare le sfide del mondo del lavoro? Quali competenze deve acquisire? Come può conservare nel tempo un livello adeguato di motivazione?
In un mondo che cambia, che sollecita continue risposte adattive, bisogna avere il coraggio di essere imprenditori di se stessi, di esprimere la propria progettualità e i propri obiettivi individuandoli con chiarezza per il piacere di aprirsi a nuovi orizzonti.
Nel passato una laurea era il passaporto per il futuro professionale, oggi rappresenta il punto di partenza, non il solo, di un percorso formativo continuo, che si sviluppa secondo modelli consolidati e attraverso lo sviluppo di modalità di autoapprendimento che prevedono tappe ben definite e pianificate (sviluppo professionale continuo).
Senza nulla togliere alle responsabilità delle strutture organizzative del mondo del lavoro – argomento che richiede una trattazione a parte -, l’approccio della moderna psicologia individua tra le principali cause di demotivazione lavorativa un inefficace investimento del singolo individuo rispetto alla propria formazione, rispetto alla capacità di coltivare in proprio le specifiche competenze che possono aiutarlo a definirsi in modo autonomo, come libero professionista o all’interno delle organizzazioni.
Molte indagini indicano una prevalente indifferenza verso l’innovazione e la crescita professionale; vi è una tendenza diffusa a considerare l’apprendimento come una fase legata ai tempi dell’Università e la prassi (l’esperienza) come unico strumento di crescita professionale.
Evidentemente occorre acquisire nuove consapevolezze e intraprendere nuovi percorsi formativi in linea con i modelli della psicologia del positivo, modelli che hanno portato alla individuazione delle caratteristiche delle persone vincenti, alla scoperta della “resilienza”, alla definizione del senso di autoefficacia percepita, alla comprensione dell’importanza dell’intelligenza emotiva, dell’ottimismo, della creatività dell’autostima, alla valorizzazione dell’esperienza del libero flusso o flow.
Tradotti in termini pratici, questi concetti, che sottendono le potenzialità espressive della personalità matura, sono alla base del knowledge worker o lavoratore della conoscenza, persona che gestisce informazioni, idee e abilità.
Occorre pertanto avere il coraggio di uscire dalle dinamiche dello stress lavorativo e affrontare i fattori psicologici che rendono possibile un migliore utilizzo delle risorse individuali; in questi ultimi anni ho avuto modo di insegnare ad oltre 4000 operatori, in particolare medici, infermieri, insegnanti, polizia penitenziaria, dipendenti di aziende pubbliche o private, funzionari di banche.
L’entusiasmo riscontrato e l’interesse per le argomentazioni presentate mi spingono a continuare in questa direzione, sollecitando curiosità ed impegno per una migliore gestione delle proprie risorse.

 

Per approfondire:
Pellegrino F, La sindrome del Burn-out, Centro Scientifico Editore, Torino, 2000. Nuova edizione 2009
Pellegrino F, Essere o non essere leader, Positive Press, Verona, 2002
Pellegrino F, Oltre lo stress, burn-out o logorio professionale, Centro Scientifico Editore, Torino, 2006
Pellegrino F, Valorizzare le risorse umane, Mediserve, Milano-Firenze-Napoli, 2007