DONNA E DEPRESSIONE

L’esperienza depressiva è devastante ed ha profonde radici nella vita di una persona, nella sua storia, nelle sue relazioni familiari e sociali; colpisce più le donne, forse per motivi biologici, psicologici e culturali.
Biologicamente la donna appare più sensibile a 

donna e depressionevariazioni ormonali, dal menarca alla menopausa; queste variazioni si accompagnano ad una maggiore vulnerabilità nei confronti dell’esperienza depressiva: nelle fasi premestruali può avere sintomi del tutto sovrapponibili a veri quadri depressivi, talvolta sufficientemente gravi da richiedere un trattamento farmacologico, così come nella menopausa. Lo stesso avviene nel post-partum, dove possono insorgere quadri depressivi estremamente gravi.

Non conosciamo bene i rapporti tra depressione e biologia femminile, possiamo immaginarne la complessità e ritenere che nella pratica clinica questi rapporti devono essere sempre considerati.
Anche psicologicamente la donna appare più vulnerabile alla depressione, tende ad essere emotivamente più labile, più “sensibile agli eventi esterni”, presenta una maggiore estroversione rispetto agli uomini: vuole essere rassicurata, tende a progettare la vita mettendo in primo piano le esigenze degli altri, ha minore stima di sé.
Spesso per la donna l’uomo diventa la massima fonte di prestigio, un Io vicario che talvolta rischia di soppiantare il vero Io compromettendo, in maniera talvolta seria, l’autonomia del soggetto. Al contrario l’orgoglio di un uomo più spesso si basa sulla carriera professionale e sulle conquiste personali.
Secondo alcune statistiche sono più gli uomini che si suicidano per la perdita di un affare (o del potere politico) che per la perdita della moglie o di un figlio. Non perché l’amore per i figli o il coniuge sia minore, ma perché perdendo l’affare perdono la sicurezza, il prestigio, la fiducia in sé, l’autostima che la donna invece ripone negli affetti più cari.
Naturalmente oggi stiamo assistendo ad un’inversione di rotta; la cultura è in continua trasformazione ed evoluzione e la donna occupa sempre di più ruoli di prestigio e posizioni da manager. Sorgono così le problematiche del doppio ruolo, la donna che lavora e che provvede alle esigenze della famiglia; uno stress aggiuntivo non sempre di facile gestione, anche per l’insufficiente aiuto che il coniuge e la società  forniscono alla donna.
Chi è la donna che soffre? In che modo la sua depressione si manifesta sul versante clinico? Come reagisce alla sofferenza dell’esperienza depressiva?
Non esiste la “donna tipo” candidata alla depressione; si rivolge allo psichiatra la donna giovane, sola, che lavora e che è alla continua ricerca del suo ideale di uomo, oppure la donna sposata, più avanti negli anni, che lavora e che provvede alle necessità della famiglia, ma anche la casalinga che non ne può più del marito e dei figli.
Vi è poi la donna felicemente sposata che va in depressione perché le due figlie vanno a vivere in un'altra città per poter trovare lavoro.
Vi sono poi le donne divorziate, che vanno alla ricerca di un altro uomo (ed iniziano relazioni spesso conflittuali e complesse) o che rinunciano completamente alla vita affettiva, e le donne che hanno superato i 55 anni e che arrivano ad essere veramente stanche della vita e delle relazioni familiari.
Le loro storie hanno in comune un profondo vissuto di solitudine ed abbandono, una mancanza di autonomia e speranza, terreno fertile per la depressione.
Sul versante clinico i sintomi di più frequente osservazione sono:

- stanchezza e senso di affaticamento
- sintomi fisici come cefalea e disturbi gastroenterici
- disinteresse per l’ambiente circostante
- ansia
- depressione del tono dell’umore e perdita di speranza
- sentimenti di impotenza e sensi di colpa
- insonnia
- diminuzione della capacità di concentrazione e facile distraibilità
- preoccupazione eccessiva anche per piccoli problemi
- diminuzione della libido

Sul piano comportamentale è possibile osservare alcune conseguenze della depressione: aumento del consumo di analgesici, del fumo di sigaretta, di alcol o di cibi altamente calorici (in particolare cioccolata e dolci). E’ evidente inoltre una minore cura della persona e spesso viene riferita una irritabilità inusuale nei confronti dei familiari, in particolare dei figli.
L’associazione di questi sintomi (variabili per numero e intensità) dà luogo ai diversi disturbi (dal disturbo dell’adattamento con umore depresso, alla depressione maggiore e alla distimia) che comportano, per definizione, una compromissione del funzionamento globale del soggetto.
Un altro aspetto da considerare è la reazione delle donne alla depressione; la mia esperienza mi insegna che reagiscono con estrema forza e tengono testa ai propri impegni familiari e sociali nonostante la sofferenza; ne parlano e sono disperate, cercano sostegno, si attengono alla terapia prescritta e seguono i consigli.
Diversamente gli uomini sembrano reagire con una maggiore regressione verso aspetti infantili, fuggendo dalle responsabilità della vita quotidiana e compromettendo in molti casi l’attività lavorativa.
In ogni caso vi è una diminuzione della qualità della vita ed una sofferenza interiore comprensibile a fondo solo attraverso l’esperienza della depressione.
La depressione si muove dunque lungo un continuum che parte dalla normalità fino ai quadri clinici della depressione maggiore; non sappiamo perché una persona si ammala e perché presenta un dato quadro clinico, probabilmente vi concorrono più cause – biologiche, individuali, familiari, sociali – e certamente è di primaria importanza il riconoscimento e il trattamento della depressione, così come auspica l’Organizzazione Mondiale della Sanità, soprattutto oggi che esistono gli strumenti per formulare idonei ed efficaci interventi terapeutici.

 

Per approfondire
Pellegrino F, Non esiste la pillola della felicità, Positive Press, Verona, 1998
Pellegrino F, Personalità e autoefficacia, Springer, Milano, 2010