E' la domanda che si pone Reese Witherspoon nel film "Come lo sai".
Come sapere quando siamo davvero innamorati? Non è facile farsi strada nel territorio misterioso e spesso ingannevole dei sentimenti. Ne sa qualcosa Lisa Jorgenson, la protagonista di Come lo sai, il nuovo film scritto e diretto da James L. Brooks (il regista di Voglia di tenerezza e Qualcosa è
cambiato, nonché il creatore di serie cult come Mary Tyler Moore e Taxi).
Nella pellicola, in uscita in Italia il 18 febbraio, la protagonista, interpretata dall'attrice Reese Witherspoon, è contesa fra due uomini (Owen Wilson e Paul Rudd) e ha difficoltà a comprendere cosa prova realmente per loro. E proprio per imparare a conoscere meglio le diverse facce dell'amore ci siamo rivolti allo psicoterapeuta Ferdinando Pellegrino, dirigente medico presso il dipartimento di salute mentale dell'ASL Salerno ed autore di numerosi saggi di psicologia, fra cui Personalità e autoefficacia – Come allenare ragione ed emozioni, edito dalla Springer nel 2010.
Nel film Come lo sai, la protagonista si trova divisa fra due uomini e non riesce a fare chiarezza nei propri sentimenti. In base alla sua esperienza professionale, quali sono gli elementi che ci permettono di rispondere alla domanda del titolo, ovvero "come sapere quando siamo davvero innamorati"?
"Sentirsi o essere innamorati è qualcosa di profondo e personale; ciascuno di noi ha modalità diverse di cogliere l’amore, ma sicuramente il termometro dell’amore è dato dall’intensità di "emozioni" che si provano per una persona, o meglio dalla pervasività con cui un’altra persona invade la nostra mente. Ci si sente attratti, tutto il resto viene ridimensionato, non esiste altro che la "persona amata". Le emozioni sono sempre personali – autentiche o meno che siano – e l’intensità delle stesse può guidare le nostre scelte. Ci si chiede: "È l’uomo giusto per me?"; "È la donna giusta per me?"; "Sono veramente innamorato?". Siamo in una fase successiva; nella fase iniziale dell’innamoramento non esistono domande, c’è un’attrazione forte perché evidentemente l’altra persona è stata capace di cogliere la profondità del mio animo. In questa fase la percezione emotiva dell’amore è automatica, non ha bisogno di "commenti".
Nella fase successiva invece sorgono le domande: più che sapere se siamo innamorati ci interessa sapere se l’altra persona è affidabile, se è bene continuare ad investire emotivamente, se è opportuno continuare a dare se stessi in modo completo. È una fase razionale che ci aiuta a riportare l’innamoramento su di un piano di realtà, ed è giusto che sia così!
In un suo articolo su Psicologia e psicopatologia dell’amore, lei definisce l’amore come «la capacità di un individuo di essere attento alle esigenze e ai bisogni dell’altro, esprime il senso di protezione e di preoccupazione per l’altro». Secondo lei, questo "desiderio di protezione" costituisce l’indizio inequivocabile di un reale innamoramento? L’essenza più profonda dell’amore risiede dunque in un istinto di protezione nei confronti della persona amata?
"Più che di protezione per l’altro l’innamoramento è protezione reciproca, senso di sicurezza, di pienezza, uno stato d’animo in cui "ci si completa a vicenda". Il problema sorge quando vogliamo completare nostri vuoti esistenziali, nostre incertezze o insicurezze: in tal caso il rapporto è sbilanciato e si creano situazioni di dipendenza che possono nel tempo creare problemi. Più si è sereni e maturi, più si è in grado di cogliere le opportunità migliori per vivere il rapporto con forte intensità emotiva. Naturalmente quanto più si è in sintonia reciproca tanto più ci si sente bene. L’innamoramento si basa su presupposti psicologici e biologici, come persone siamo predisposti ad incontrarci con gli altri (sintonizzazione empatica): nei confronti della persona che amiamo tale livello di sintonizzazione è al massimo e dà i suoi frutti positivi".
A proposito della domanda precedente, secondo lei è possibile rovesciare questo assunto, cioè affermare che talvolta l’amore può scaturire invece da un bisogno di sentirsi protetti e di trovare qualcuno che provveda ai nostri bisogni? In altre parole, l’innamoramento può costituire una sorta di speranza o illusione salvifica a cui ci aggrappiamo nei momenti difficili della nostra vita?
"Il pericolo c’è quando con l’amore cerchiamo di compensare la nostra insicurezza. È naturale aver bisogno degli altri o di una persona in particolare, ma ciò non deve scalfire la nostra autonomia psicologica, che è strettamente correlata al grado di maturità di una persona. Quando si è dipendenti, quando si affida ciecamente la propria vita agli altri, quando non ci si rende conto del grado di inaffidabilità di una persona, il rapporto può diventare una fonte di disagio e sofferenza.
A proposito della fase dell’innamoramento, lei ha scritto che essa è caratterizzata da «una franca connotazione di patologia con presenza di una ideazione prevalente rispetto all’oggetto d’amore e una scarsa accessibilità alla critica». È giusto dunque affermare che durante l’innamoramento la razionalità cede il posto ad una forma di “patologia sentimentale”, che spesso ci porta a idealizzare in tutto e per tutto la persona amata? Da un punto di vista psichiatrico, quand’è che l’amore si trasforma effettivamente in una forma patologica?
"L’idealizzazione di una persona è giustificata nella prima fase dell’innamoramento, quando le emozioni prevalgono su tutto. Ma questa fase non può durare a lungo: man mano che ci si conosce ci si rende conto della realtà, subentrano la riflessione, il giudizio, la responsabilità. Costruire un rapporto significa lavorare per affinare ciò che è comune, realizzare progetti per il futuro, lavorare per crescere insieme.
L’ideale è che nell’amore vi sia il giusto mix di emozione e cognizione. La mente è una, nei suoi aspetti emotivi e razionali, quando entrambi convergono si rafforzano a vicenda; quando prevalgono le emozioni il rapporto può essere troppo idealistico, se prevale la razionalità il rapporto diventa un calcolo. Esistono poi franche patologie dell’amore con forme che arrivano al delirio; in tal caso occorre l’intervento specialistico.
Secondo lei, è possibile che ci si possa innamorare contemporaneamente di due persone differenti o questo fenomeno rientra comunque in una condizione di patologia? Quali sono i fattori che comunemente ci portano a trasferire i nostri sentimenti da una persona all’altra?
"Nessuno ci completa in modo "completo", per cui possiamo incontrare persone che completano parti diverse del nostro essere e quindi possiamo essere attratti da due persone che hanno profili di personalità diversi e che vanno a completare aree diverse del nostro animo. È quindi possibile sentirsi attratti da due persone ed "innamorarsi" di due persone. Il problema è che spesso non ci si rende conto che l’amore è anche assunzione
di responsabilità, per cui diventa difficile sostenere – emotivamente e razionalmente – due storie senza... complicarsi la vita.
Il problema tuttavia c’è. È difficile trovare una persona che ci completi in modo pieno, abbiamo sempre e comunque delle aree di vulnerabilità che ci spingono a sentirci attratti da più di una persona.
Il suo ultimo libro si intitola Personalità e autoefficacia – Come allenare ragione ed emozioni. Nel campo minato dei sentimenti, secondo lei esiste una formula che ci permette di raggiungere un corretto equilibrio fra ragione ed emozioni, oppure l’amore è inevitabilmente una forma di "follia" per la quale non esiste rimedio?
"L’amore è sempre emozione e razionalità. L’amore irrazionale fa disastri ed è indice di squilibrio emotivo. La mente è una, la persona è una. Ragione ed emozione concorrono a sostenere il nostro modo di pensare e di comportarci, non possiamo continuare a considerarci scissi – mente e corpo. La forza dell’uomo, la sua maturità, consiste nella capacità di sviluppare al meglio le proprie potenzialità, grazie alle proprie risorse emotive e razionali.
In fondo è vero anche il contrario: come le emozioni ci spingono verso un’altra persona, allo stesso modo le emozioni ci fanno allontanare ("Forse... non l’amo più!"). Ecco perché il mondo emotivo non può essere disgiunto da quello razionale.
COSMOPOLITAN. Intervista del 17 Febbraio 2011
Ferdinando Pellegrino - Psichiatra, psicoterapeuta