Prendersi cura di chi cura. Lo stress lavorativo – nella diversa modulazione con cui lo si vuole intendere – appare uno dei fattori capace di compromettere l’efficacia professionale, con diminuzione della qualità di vita dell’operatore e l’assunzione di comportamenti difensivi, tipici della
sindrome del burn-out. Una condizione di distress lavorativo può inoltre correlarsi all’errore professionale.
Tra le cause remote di errore in medicina figurano infatti il carico di lavoro eccessivo, la mancanza di supervisione, la comunicazione inadeguata tra gli operatori, l’ambiente di lavoro stressante, la recente e rapida modificazione dell’organizzazione del lavoro, la presenza di obiettivi in conflitto (per esempio, tra limiti economici dell’assistenza ed esigenze cliniche), il peso della burocrazia.
In tale contesto appare quindi di fondamentale importanza la valutazione del disagio professionale legato allo stress lavorativo, laddove una condizione di stress non ben gestita a livello personale può essere causa di errore medico, può compromettere la relazione medico-paziente e la qualità della vita dell’operatore.
Un medico stressato infatti può sbagliare più facilmente, essere meno attento alle esigenze del paziente, essere meno accorto rispetto alla propria salute.
L’eccessivo carico di lavoro può di per sé essere causa di stress lavorativo; i medici che fanno troppi straordinari sono più a rischio di errori, così come il mancato rispetto in ospedale dei turni di riposo: studi recenti hanno evidenziato, tra l’altro, un tasso di errori più elevato da parte di coloro che hanno passato la notte in bianco rispetto a coloro che hanno dormito indisturbati. E’ altresì inevitabile che lo stress lavorativo dovuto ad un surplus di orario porta ad una diminuzione delle capacità mentali con una maggiore incidenza di errori.
E ciò anche quando la professione piace e il lavoro viene affrontato con entusiasmo.
Un’indagine condotta su oltre 4000 medici ha infatti evidenziato come il livello di soddisfazione professionale sia elevato, superando il 75% dei professionisti intervistati, ciò tuttavia non rappresenta un fattore protettivo rispetto agli effetti negativi dello stress.
Il 63% degli operatori riferisce che il lavoro può essere causa di ansia e tensione emotiva, il 30% di depressione e circa il 34% dei medici sostiene che le tensioni legate all’attività lavorativa, pur soddisfacente, può comportare una minore efficienza lavorativa.
Questi dati, unitamente a manifesti vissuti di irritabilità e di superficialità nella modulazione del rapporto con il paziente, comporta inevitabilmente sensazioni di scoraggiamento, indifferenza, stanchezza e tendenza all’isolamento.
Lo stress lavorativo non è quindi legato esclusivamente a fattori negativi, quanto alla presenza di una condizione disadattiva in cui vi è uno sbilanciamento tra le risorse disponibili e la capacità individuale di utilizzarle per affrontare con efficacia le continue difficoltà – anche ordinarie – della realtà professionale.
Tra le cause di stress lavorativo gli operatori ritengono determinante il sovraccarico lavorativo (49.4%), lavorare in strutture amministrative mal gestite (48.3%), la burocrazia (81%), non avere la possibilità di collaborare e di scambiare idee con i collegi (27.6%), non avere spazi e tempi istituzionalmente prefissati per la propria crescita professionale (41.3%).
In tema di stress lavorativo – e nello specifico di sindrome del burn-out – è noto come in ambito sanitario vi sia un carico aggiuntivo di tensione legato a vissuti emozionali proprio delle helping professions; questo dato è costantemente sottovalutato e non considerato nell’ambito dei programmi formativi, mentre è ampiamente dimostrato come la rivalorizzazione delle competenze emotive del medico possa essere un’arma vincente per l’efficacia professionale.
Appare pertanto auspicabile una maggiore sensibilizzazione verso queste problematiche in quanto il ben-essere soggettivo predispone ad un lavoro condotto con maggiore serenità ed efficacia.
Tale obiettivo, oltre che essere motivo di orgoglio per i singoli e per le aziende, con la definizione delle patologie da “costrittività organizzativa” incluse nel gruppo 7 delle malattie professionali (GU 134/2004), diventa per le aziende un ulteriore impegno – già dovuto in ragione della 626 del 1994.
L’importanza di tali argomentazioni è stata altresì al centro della relazione programmatica del nuovo presidente della FNOMCEO, dr Amedeo Bianco, al comitato centrale; è stata sottolineata l’importanza da parte degli Ordini di perseguire l’obiettivo di prendersi cura di chi cura al fine di tutelare il benessere e la salute dei medici intervenendo su tutti i complessi determinanti il cosiddetto disagio medico.
XXVI Congresso Nazionale dello SNAMI, 16/05/2007 Copanello di Staletti (Catanzaro)
Relazione di Ferdinando Pellegrino "La medicina difensiva: protezione per il medico?"