Le ragioni dell’ansia le ritroviamo nel quotidiano, nella continua interazione tra personalità ed ambiente, personalità ed eventi della vita.
Esiste oggi una consapevolezza maggiore rispetto al ruolo che i fattori di personalità hanno nella patogenesi dei disturbi dello spettro ansioso, si
ritiene infatti che molti di questi disturbi trovino la loro naturale spiegazione nelle scelte – più o meno consapevoli – delle persone.
Dal punto di vista psicopatologico ciò comporta una riflessione sul ruolo positivo dell’ansia che, entro certi limiti, rappresenta un importante fattore motivazionale.
E’ la comprensione del confine tra ansia fisiologica ed ansia patologica il nucleo centrale della interpretazione della dimensione ansia come patologia di rilevanza clinica, una comprensione che rimane di stretta pertinenza clinica, sia in termini diagnostici che terapeutici.
L’approccio dimensionale all’ansia, senza nulla togliere all’approccio categoriale, rappresenta quindi una sfida per il futuro in quanto focalizza l’interesse del clinico sulla persona e non si limita al contenimento del disagio o alla remissione clinica dei sintomi; tale approccio consente infatti di attingere alle risorse disponibili in ogni individuo per aiutarlo ad affrontare con efficacia le proprie vicende individuali, familiari, sociali e lavorative.
Nel definire lo stato d’ansia di un soggetto è importante considerare la molteplicità dei sintomi che possono variare nel tempo ed associarsi in vario modo; può prevalere la componente somatica in alcuni momenti, in altri può prevalere l’aspetto psichico dell’ansia.
Molto spesso sono presenti solo pochi sintomi, o anche un solo sintomo (ansia sottosoglia), che se intenso, può avere un chiaro significato clinico, come può essere la mancanza di concentrazione in un’insegnante.
In tal caso anche tale singolo sintomo, rapportato al tipo di professionalità, può essere indicativo di un disturbo d’ansia che richiede un adeguato trattamento.
• Come stabilire la soglia dell’ansia?
• Come e quando formulare la diagnosi di disturbo d’ansia?
In realtà vi sono individui che presentano numerosi sintomi ansiosi, che hanno “un modo di essere persistentemente ansioso” (... sono stato sempre così ... mi hanno detto che sono un soggetto ansioso ed apprensivo ... ricordo di aver sempre avuto momenti di ansia, anche da piccola ...) e che non hanno mai avuto necessità di cure mediche, né hanno mai sviluppato un vero disturbo d’ansia.
La presenza di sintomi ansiosi non giustifica quindi la formulazione di una diagnosi di disturbo d’ansia né un automatico ricorso a cure specialistiche; è la valutazione clinica dei sintomi (significatività clinica) che rende invece possibile la formulazione della diagnosi.
E’ il medico – il clinico – che deve valutare “quando e quanto” i sintomi presentati dal paziente hanno una rilevanza clinica e quando è necessario intervenire.
Ciò valorizza l’importanza della diagnosi clinica e pone al centro dell’interesse del medico il paziente con la sua storia, i suoi valori e le sue vicissitudini: l’ansia della vita quotidiana può assumere un significato clinico quando compromette il benessere del paziente, quando questi non riesce più a gestire e pianificare le usuali attività, quando lo stato d’ansia non gli consente più di condurre una vita normale.
Per approfondire:
Pellegrino F, Ansia, vita quotidiana e cefalea, Percorsi editoriali di Carocci editore, Roma, 2008 (edizione riservata alla classe medica)
Pellegrino F, Stress negativo, stress positivo, Positive Press, Verona, 2000
Pellegrino F, Ansia sottosoglia, Positive Press, Verona, 2003