L'equilibrio tra vicinanza e distanza è essenziale per il benessere sociale.
Trovare la "giusta distanza" evita conflitti e delusioni, favorendo relazioni sane.
Ansia sociale, solitudine e dinamiche relazionali dipendono dalla capacità di sintonizzarsi empaticamente con gli altri. Investire in rapporti autentici e saper rispettare i propri e altrui limiti sono fondamentali per costruire legami equilibrati.
«Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati.
Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione».
E’ la parabola scritta da Arthur Schopenhauer nel suo Parerga e paralipomena che descrive molto bene quanto sia difficile comprendere quale sia la giusta distanza da avere con gli altri.
Al tempo del COVID-19 è d’obbligo il distanziamento sociale, allentare la distanza per sentirsi più protetti e sicuri, ma la distanza eccessiva può creare un vuoto, far riaffiorare un senso di solitudine che per certi aspetti può essere mal tollerato, se non angosciante.
La giusta distanza è tuttavia importante per la modulazione dei rapporti umani; non si può avere la stessa distanza emotiva con tutti, ma quando ci avviciniamo troppo alle persone entrano in gioco fattori affettivi, di legame, di vicinanza: l’investimento emotivo inizia ad essere impegnativo e quando qualcosa non va il disinvestimento è fonte di sofferenza.
Andare continuamente alla ricerca di relazioni affettive valide e di una rete sociale soddisfacente è quanto di meglio si possa desiderare; sappiamo bene quale possa essere la reazione al bullismo, all’ostracismo e a qualsiasi altra forma di esclusione. Aumenta l’ansia sociale, che diventa invalidante e persistente, e per paura di ricevere rifiuti ci si isola, si desidera vivere in solitudine, l’investimento emotivo e la ricerca di vicinanza può diventare uno stress intollerabile, vivere nel distacco e nella solitudine pone la persona in una condizione di difesa.
Ma non può durare a lungo: conosciamo molto bene le conseguenze dell’ansia sociale e la dimensione depressiva che ad essa spesso si accompagna; l’uomo impara a vivere in solitudine temendo il confronto con gli altri, inizia a non fidarsi più, pensa di non avere alcuna possibilità di incontrare persone con cui relazionarsi e su cui investire affettivamente, ha imparato che quando la vicinanza con l’altro si riduce sensibilmente ci si espone troppo alle “spine”.
L’ansia sociale non è solo il frutto di ostracismo, ma può essere legata anche ad un’insicurezza di base della persona, ad una scarsa autostima, al percepirsi inadeguati al confronto con gli altri, allo sminuire continuamente se stessi rispetto agli altri. Ma, nonostante ciò, si ha bisogno di relazioni, di amicizie, di affetti ed allora queste stesse dinamiche possono indurre forme di dipendenza psicologica, pur di accontentare gli altri, pur di sentirsi amati e desiderati da qualcuno si è disposti a tutto, ad accettare qualsiasi umiliazione. Un meccanismo perverso che tende a sminuire la persona, a destrutturarla nell’identità, a dissolverla nel volere altrui, perdendo ogni considerazione e dignità umana.
E questo è anche il potere della massa, l’individuo fragile, con una personalità debole, va ad identificarsi nel gruppo e ne segue gli ideali, anche se hanno forti connotazioni antisociali; questa dispersione dell’identità del gruppo la ritroviamo spesso negli adolescenti, che pur di compiacere gli amici non ragionano sulle conseguenze derivanti dal comportamento collettivo: sentendosi parte del gruppo, abbandonano qualsiasi distanza dissolvendo il vero Sé.
Cerchiamo allora di comprende in che modo gli uomini si comportano gli uni nei confronti degli altri dal punto di vista affettivo.
Secondo Freud nel suo Massenpsychologie und Ich-Analyse del 1921, tutti i rapporti affettivi intimi, più o meno lunghi, tra due persone – rapporti coniugali, amicizie, rapporti tra genitori e figli – lasciano un residuo di sentimenti ostili o quanto meno sfavorevoli, di cui ci si riesce a sbarazzare solo con la rimozione.
Freud spiega questa ostilità come ambivalenza affettiva, amore e odio si alternano, quale tentativo narcisistico ed egoistico di affermazione del proprio Sé sull’altro: l’individuo cerca di affermarsi e si comporta come se la minima divergenza rispetto alle sue priorità e particolarità individuali implicasse una loro critica e come un invito a modificarle, a trasformarle. Si desidera in altri termini l’appiattimento di ogni differenziazione, non si tollera che l’altro possa essere diverso da come ci aspettiamo che sia, che l’altro possa avere comportamenti non in linea con i propri desideri. Da qui l’ambivalenza affettiva, fonte spesso di conflitti relazionali non sempre facili da gestire.
Un limite a ciò - al sotteso egoismo e narcisismo umano - potrebbe essere solo l’amore verso gli altri, l’amore rivolto ad oggetti. Ma, si chiede Freud, una semplice convergenza di interessi, di idee ed obiettivi in comune, senza l’intervento di elementi libidici, può comportare una tolleranza reciproca ed il rispetto per gli altri? Certamente si, ma non dura a lungo.
La libido è collegata alla soddisfazione dei grandi bisogni vitali e sceglie – spiega Freud - come suoi primi oggetti le persone la cui azione contribuisce a questa soddisfazione ed aggiunge che l’amore si è rivelato il principale, se non l’unico, fattore di civilizzazione, determinando il passaggio dall’egoismo all’altruismo.
In che modo allora comprendere quale sia la giusta distanza emotiva con gli altri?
Non si può investire su tutti allo stesso modo, né ci si può aspettare dagli altri sempre la ricompensa desiderata, le frustrazioni e le delusioni affettive sono sempre dietro l’angolo.
Forse allora occorre essere più attenti e prudenti, individuando nei rapporti la giusta sintonizzazione empatica: correre insieme significa - scrive Claudio Bagnasco nel suo Runningsofia - approfondire la conoscenza di … No, diciamolo meglio: significa cogliere per via prerazionale – perciò schiettamente – il grado di affinità con la persona che ci è accanto.
Rispettare i confini emotivi altrui e propri è fondamentale per relazioni sane.
Coltiva l’empatia e ricorda: non ogni distanza è un rifiuto, né ogni vicinanza una certezza. 🦔