Con il coronavirus il personale sanitario si trova ad affrontare un’emergenza senza precedenti che ha colto tutti di sorpresa: si tratta di un evento a elevato impatto emozionale.
Davanti a uno scenario così stressante la maggior parte degli operatori sanitari ha risposto e risponde con grande forza e coraggio.
Ma lo stress, così vissuto, porta i conti.
Lo stress, definito come una reazione soggettiva ad una stimolazione ambientale, può avere diverse sfaccettature: nell’immediatezza degli eventi permette di fronteggiare la situazione ma, se protratto ed eccessivo, può diventare fonte di disagio e sofferenza.
Non possiamo assolutamente parlare di burn-out, l’operatore sanitario sta affrontando una situazione di emergenza – da stress – e solo in un secondo momento si potranno valutarne gli effetti.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) parla infatti di burn-out, ritenendolo tuttavia, non una malattia, bensì un fattore che influenza lo stato di salute o il ricorso ad assistenza sanitaria e lo definisce come una sindrome concettualizzata quale conseguenza dello stress cronico sul posto di lavoro, caratterizzato da tre dimensioni:
1. sentimenti di esaurimento o esaurimento energetico,
2. maggiore distanza mentale dal proprio lavoro, o sentimenti di negativismo o cinismo relativo al proprio lavoro,
3. ridotta efficacia personale.
Ad oggi, gli operatori sanitari:
• sono sottoposti ad uno stress acuto,
• stanno lavorando con forza e spirito di abnegazione,
• sono efficienti e lavorano con la massima concentrazione,
• non si sentono distanti dal proprio lavoro, anzi non si risparmiano, stanno dando il meglio di Sé!
Nel dare una risposta allo stress, nell’immediatezza dell’esposizione all’evento stressante, l’operatore sanitario si rende conto della portata dello stesso, ne codifica il rischio e attiva ogni risorsa disponibile al fine di poter affrontare pericoli e fatiche senza sosta, riuscendo a calibrare le proprie risorse, alternando così stati d’animo fluttuanti di scoraggiamento e di coraggio.
Il problema rilevante è che, nel trambusto della risposta allo stress, questi fattori psicologici lasciano nella memoria una traccia di ciò che accade, una narrazione che inevitabilmente lascia un segno nella persona, una traccia con cui fare i conti; questo perché si concretizza una persistente condizione di iperarousal psicofisiologico, di iperattivazione del sistema nervoso simpatico e parasimpatico che è fonte di disagio, poiché va a compromettere la funzionalità cognitiva ed emotiva della persona.
Questa reazione da stress, reazione di adattamento, ha infatti un limite fisiologico dovuto alla natura stessa dell’uomo non in grado di sostenere un iperadattamento, un adattamento a traumi persistenti e a elevato impatto emotivo.
Quando inizia a cedere, a rendersi conto di non avere più risorse, il medico deve così fare i conti con le forze residue e con reazioni psicologiche che possono strutturarsi in veri disturbi psichici.
Non si tratta di burn-out, l’operatore sanitario si ritrova a vivere un’esperienza drammatica che dal punto di vista nosografico va contestualizzata nei “Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti” del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’APA (DSM-5).
Detto manuale prevede il disturbo da stress acuto, quale reazione immediata rispetto all’esposizione ad una minaccia per la vita, definita dall’ICD-11, la Classificazione Internazionale delle Malattie dell’OMS, una Reazione acuta allo stress.
Dal punto di vista clinico ciò è rilevante in quanto una reazione acuta da stress, che insorge nell’immediatezza del trauma, non ha le caratteristiche di un disturbo consolidato, bensì di una reattività aspecifica la cui evoluzione non è prevedibile; in seguito all’esposizione a morte reale o minaccia di morte, vissuta in prima persona o indirettamente (come nel caso del sanitario che soccorrere persone con gravi patologie) si possono infatti presentare sintomi quali:
• pensieri e/o sogni ricorrenti e pervasivi riguardanti l’esperienza traumatica
• flashback (rappresentazione dell’evento vissuta come reale)
• sensazione di angoscia psicologica con reazioni fisiche scatenate da tutto ciò che rievoca il trauma
• alterazione dei vissuti emotivi, profonda prostrazione e sfiducia
• fenomeni di depersonalizzazione (sentirsi un estraneo) e derealizzazione (stato di irrealtà)
• disturbi del sonno, della memoria e della concentrazione
• condotte di evitamento (si cerca di evitare qualsiasi cosa che rievoca il trauma)
• irritabilità, rabbia, condizione di iperarousal psicofisiologico.
La sintomatologia è variabile e invalidante; può comparire entro tre giorni dall’esposizione al trauma e se diventa persistente si possono avere quadri clinici come il disturbo da stress post-traumatico.
In questa fase è necessario avere prudenza e osservare l’evoluzione del quadro clinico, privilegiando un approccio psicologico mirato, in prima istanza, ad accogliere la sofferenza dell’operatore sanitario e ad aiutarlo a pianificare idonee strategie di coping.
Prevenire i disturbi da trauma vuol dire innanzitutto favorire l’elaborazione di processi mentali volti a rafforzare il senso di sicurezza e di fiducia nella possibilità di superare il momento di crisi: l’operatore sanitario non può essere lasciato solo, ha bisogno sin dal primo momento di un supporto psicologico.
Per approfondire:
• Pellegrino F, La salute mentale: clinica e trattamento, Edizioni Medico Scientifiche, Torino, 2018