Lo stress quale emerge dall’esperienza del Covid-19 ha mille sfaccettature ed ora che si sta superando la fase emergenziale ci si ritrova a dover fare i conti con le inefficienze organizzative di prima, ulteriormente disastrate!
Superata la fase iniziare di grande emergenza, in cui sono prevalsi dimensioni emotive quali impotenza, scoraggiamento, ansia e tristezza, ora si inizia a pensare di potercela fare!
Ma proprio ora occorre prestare attenzione a fenomeni come il burn-out.
Il problema del burn-out potrebbe infatti insorgere in un secondo momento, quando tutto sarà finito e l’operatore si ritroverà a lavorare nelle medesime condizioni (se non peggiori!) di prima, quando riemergeranno le note disfunzioni organizzative che caratterizzano l’assetto di molte organizzazioni (sistema sanitario, forze dell’ordine, scuole…).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il Burn-out come una sindrome concettualizzata quale conseguenza dello stress cronico sul posto di lavoro, caratterizzato da tre dimensioni:
• sentimenti di esaurimento o esaurimento energetico,
• distanza mentale dal proprio lavoro, o sentimenti di negativismo o cinismo relativo al proprio lavoro,
• ridotta efficacia personale.
Il termine burn-out vuol dire «bruciarsi, esaurirsi, scoppiare, spegnersi» ed indica:
• un processo inefficace di adattamento al contesto lavorativo
• la perdita di motivazione al proprio lavoro
• la perdita progressiva di idealismo, energia, obiettivi, si tende a vivere alla giornata
• uno stato di affaticamento e frustrazione
• una condizione di esaurimento e di ridotta realizzazione personale.
Medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, assistenti sociali, insegnanti, poliziotti, sacerdoti, avvocati … rientrano tra le categorie particolarmente esposte a condizioni di logorio professionale o sindrome del burn-out che è dato da un insieme di segni e sintomi, individuali ed organizzativi, rappresentativi di una condizione di distress lavorativo che compromette il benessere dell’individuo.
Il burn-out è definito come <<un processo nel quale un professionista precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentati sul lavoro>> (C. Cherniss) e si manifesta con sintomi quali:
• alta resistenza ad andare al lavoro
• sensazione di fallimento
• disistima
• isolamento
• senso di stanchezza
• problemi fisici
• rigidità
• conflittualità
• scarsa concentrazione
• sospetto e paranoia
• cinismo
• ansia e tensione
• depressione
• minore efficienza lavorativa
• irritabilità
• superficialità nel rapporto con il paziente
• conflittualità familiare e relazionale.
C’è subito da precisare che il burn-out non colpisce solo le persone insoddisfatte del proprio lavoro e «stressate» per l’assetto organizzativo del contesto lavorativo, ma anche chi invece è contento e soddisfatto del proprio lavoro.
La sindrome del burn-out emerge così dalla non curanza dello stato emotivo degli operatori, dalla trascuratezza che si ha del loro mondo emotivo, unitamente a disfunzionalità strutturali e organizzative che fanno riattivare stati emotivi negativi, come il senso di abbandono o di isolamento che si vive in molte organizzazioni.
Ci possiamo immaginare quindi l’intensificarsi di queste problematiche nello stato post-emergenziale da coronavirus, con inevitabili conseguenze sia sull’operatore che sulle organizzazioni: finito il tempo dell’emergenza si ritorna alla vita normale, e ci si ritrova, inevitabilmente, a doversi confrontare con le vecchie ed irrisolte problematiche lavorative.
Ecco perché le organizzazioni, pubbliche o private, devono essere molto attente a queste problematiche mettendo a punto idonee strategie di prevenzione.
Per approfondire:
• Pellegrino F, La salute mentale, clinica e trattamento. Edizioni Medico Scientifiche, Torino, 2018